

Ancora due foto della Riserva dello Zingaro. Le ultime due. Probabilmente le mie preferite. La prima è un bianconero molto contrastato che ho scattato dalla spiaggia; la seconda è l’ultima foto della giornata con il treppiede all’uscita dalla riserva. Mi piacciono per i colori e per i non colori (arrivati dal foto-ritocco) che rendono le due immagini decisamente suggestive e, scusate l’esagerazione, anche un po’ poetiche, quasi pittoriche. Ascoltavo qualche giorno fa un’intervista a Gianni Berengo Gardin e in punto preciso critica questa tipologia di foto (riporto più sotto le sue parole) che lui definisce fotografia d’arte. Per l’anno prossimo spero di mettere un po’ da parte questa tipologia di fotografia ‘inutile‘ per dedicarmi maggiormente alla fotografia di documentazione, di reportage.
Io non sono un artista. Non ci tengo assolutamente a passare per artista. Oggi i giovani fanno le cosiddette fotografia d’arte che a me non interessano perché copiano quello che hanno fatto i pittori con 50-100 anni di ritardo. A me interessa la foto di documentazione perché il vero DNA della fotografia è la documentazione. (Gianni Berengo Gardin)

Mi sono addentrato per pochi minuti fra le macerie di Poggioreale, non sono riuscito a resistere e sono dovuto scappare. L’atmosfera è inquietante, il silenzio irreale. Fa quasi paura. Mi è sembrato di violentare il ricordo di chi, nel 1968, viveva in queste case del profondo sud; una sensazione brutta, che si attacca alla pelle e non scivola via. Mi sono sentito in colpa, mi sono vergognato della macchina fotografica. Sono passati quasi 50 anni, ma qui il tempo si è fermato a quel maledetto giorno del Gennaio 1968.





Era la notte tra il 14 e il 15 Gennaio 1968, quando un violentissimo terremoto scosse la terra nella Valle del Belice, tra le province di Agrigento, Trapani e Palermo. 400 morti e quattro centri abitati rasi al suolo. Il comune maggiormente colpito fu Poggioreale, che dopo il terremoto venne abbandonato al suo destino, diventando una vera e propria città fantasma. (Da
Repubblica.it)








Questo è l’interno del nuovo museo dell’automobile di Torino. E l’atrio, la prima sala che si incontra. Molto moderno, molto spazioso, molto geometrico. Molto alto. Non avevo con me la macchina.foto (non pensavo nel pacchetto Torino fosse compresa la visita) e quindi mi sono dovuto accontentare del Nexus 5. Ho cercato la posizione migliore e ho scattato senza badare troppo alle impostazioni: il mio smartphone sa benissimo come fotografare. L’importante era trovare l’inquadratura giusta. Ho scelto il bianco e nero perché mi sembra più adatto alla geometria e al metallo: in realtà non ho dovuto poi cambiare molto visto che nell’immagine il colore non era certo predominante. Davvero bello il museo dell’Automobile: visita assolutamente consigliata.

All’interno del Dubai Mall (uno dei centri commerciali più grandi di Dubai) c’è una cascata. Si, una cascata. Non avevo il cavalletto e la luce scarseggiava: ho quindi posizionato la macchina.foto sul bordo di un vaso gigante e scattato con un tempo di esposizione di 25 secondi. Volevo riuscire a riprendere l’effetto mosso dell’acqua. Quando il cavalletto non c’è si inventa. :)

E torno sempre al lago di Pianfei. In inverno, dopo un’abbondante nevicata, è sempre uno spettacolo unico. In realtà la luce piatta della pausa pranzo (sorry, fotografo quando posso) non mi ha permesso di ottenere un risultato interessante ma ho scoperto che nella versione monocromatica questa foto prende vita, prende colore, e si trasforma in qualcosa di davvero particolare. Mi piace.