

Sulla croce che domina il Sass Pordoi c’è un targa con una scritta particolare: “Cercate le cose di lassù. 50° Anniversario 1962-2012”. E’ stata aggiunta, e si capisce, nel 2012. E pensare che da quasi 60 anni (l’anno prossimo) questa croce domina una delle più conosciute cime delle Dolomiti è tristemente aberrante. Il tema delle croci in vetta alle nostre montagne è dibattuto da tempo e non può lasciare indifferenti soprattutto in un paese che si professa laico. E’ una delle cose al quale non si pensa mai, eppure nella natura incontaminata si continuano a costruire gigantesche strutture in metallo, plastica, cemento e vetroresina, generalmente di rara bruttezza (e pericolosità). Non confondiamo l’immanente con il trascendente. Ogni giorno che passa è un giorno perso: iniziamo a decrocifiggere la montagna.
Non c’è vetta di monte che non sia stata marcata da un qualche simbolo religioso, il crocifisso in testa a tutti, soprattutto nel nostro paese. La sommità delle montagne è stata luogo privilegiato della trascendenza, metafora dell’ascesa al cielo, sentiero di purificazione interiore. È sembrato perciò normale appropriarsi di questi vertici, della loro potente suggestione per veicolare il sacro. Allora percuoterli, scavarli, cementificarli per collocarvi sopra una più o meno grande croce è parso ovvio, una testimonianza di fede, un luogo privilegiato per il contatto col divino.

Sono solo e mi avvicino, in religioso silenzio, a quella che nel secolo scorso era la Certosa della Motta Grossa. Qui una volta c’era un importante convento di clausura. Nel 1903 a seguito di leggi che soppressero le case monastiche, la comunità certosina femminile di Bastide Sainte Pierre a Montauban nella Garonna in Francia, dovette abbandonare il proprio convento trovando rifugio in Italia, presso un antico castello di Riva di Pinerolo chiamato Motta Trucchetti.
Furono realizzati grandi lavori di ristrutturazione, iniziati nell’ottobre 1903, eseguiti sotto la direzione di Dom Roch Mallet, procuratore della Grande Chartreuse, il quale rese gli edifici idonei alla regola monastica certosina. Fu installato un bellissimo orologio, proveniente dalla certosa di Le Reposoir, che fu posto in una torre quadrata, a una cinquantina di metri dal convento. Poiché l’antica cappella di San Giovanni Battista, situata nel giardino, era troppo piccola, ne fu costruita un’altra più spaziosa, e Don Michel Baglin andò a benedirla il 12 maggio del 1904 titolandola a Santa Rosellina. In questo luogo la comunità religiosa rispettò la regola certosina come casa rifugio, e soltanto in seguito, nel 1936, visto la notevole crescita del numero di monache, si decise di erigere una certosa autonoma conosciuta con il nome di Motta Grossa.
La struttura monastica è composta da un enorme edificio eretto su due livelli, al centro si trova la Chiesa del quale ormai non rimane più nulla: anche il bellissimo crocifisso ligneo è sparito. Al piano superiore un lunghissimo corridoio porta alle celle dove vivevano le sorelle. Le monache rimasero nel convento sino al 1998 anno in cui si trasferirono alla certosa di Vedana lasciando il complesso monastico all’Istituto diocesano per il sostentamento clero di Torino. Da quel giorno la Motta Grossa è in stato di completo abbandono, preda dei vandali che hanno distrutto tutto il possibile. Oggi è un luogo vuoto e spettrale, svetta tra la fitta vegetazione che quasi ne impedisce l’accesso; il cancello arrugginito è rimasto come ultima, ma inutile protezione.
Tutto ora è abbandonato: finestre spalancate, persiane penzolanti, porte sfondate, muri fessurati dall’umidità e rampicanti che s’infilano in ogni dove quasi per inglobare di nuovo nella natura quel pezzo di mondo.







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Quando si dice dimenticato da dio. Il significato è decisamente chiaro: sperduto, isolato, disabitato, squallido, desolato. Teologicamente parlando è impossibile, dicono che se Dio smettesse per un attimo di desiderare l’esistenza di un qualsiasi mio capello, esso cadrebbe immediatamente nel nulla. Poi se parliamo di una chiesa il significato acquisisce un significato ancora meno tangibile. Eppure quando penso alla Chiesa del Cristo sdraiato è proprio il concetto di dimenticato da dio che mi viene in mente. Siamo in una valle sperduta dell’appenino Emiliano, in provincia di Piacenza, intorno a noi è il deserto. Per arrivare si deve percorrere una lunga strada sterrata che il pensiero è quello di finire nel nulla. Ed in effetti è quella la sensazione quando si arriva alla meta: la chiesa cade a pezzi, è recintata, abbandonata, solitaria. Perché costruire qui un’opera del genere? E’ un mistero, ma la fede non si spiega. Capisco l’ascetismo, ma a tutto c’è un limite. All’interno si vive in un mondo irreale, immobile, il tempo si è davvero fermato in un istante, come se gli orologi avessero smesso di colpo di funzionare. I motivi purtroppo sono facilmente comprensibili.
Quando si entra si rimane subito colpiti da una particolare statua di un Cristo sdraiato, molto importante nell’equilibrio religioso della navata principale: è l’emblema della sofferenza e tutta la chiesa dà l’idea di soffrire in attesa che sopraggiunga la morte dell’oblio.
E quando si esce la domanda che risuona è sempre la stessa: ma perchè?





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Per arrivare al santuario del Getsemani è necessario compiere una vera via crucis: un itinerario di meditazione lungo 700 metri di strada selciata, in salita, di granito rosa e grigio immerso nella vegetazione. Al termine di questo faticoso percorso di riflessione si arriva alla cappella dello Spirito Santo che sorprende per la forma e per il bellissimo affresco della facciata esterna.
Il santuario è stato edificato tra l’anno 1950 e l’anno 1954 ed è un edificio a navata unica e matroneo con cripta sotto il presbiterio. Il complesso è impreziosito dal ciclo di affreschi della Passione di Cristo, dipinti da Theodore Stravinsky, figlio del compositore e pittore di fama internazionale.
Il Santuario è chiuso e sigillato e non vi si può accedere; dietro si erge il maestoso corpo del convitto/albergo a forma di nave con refettorio, aule, biblioteca, camere, giardino interno, cucine attrezzate. Bellissimo e imponente, un’oasi di pace e meditazione.










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