
La Cappella della Madonna di Vitaleta è uno dei luoghi più conosciuti della Toscana, è un panorama classico e non può mancare nel repertorio di un fotografo paesaggista. E infatti al sottoscritto manca. Quasi. Perchè quando, dopo uno sterrato infinito, sono riuscito ad arrivare nei pressi della piccola chiesetta, al tramonto of course, una ragazza che procedeva nella direzione contraria mi ha guardato e poi: “Bella vero? Peccato che sia chiusa!”. Si, perché la Madonna di Vitaleta è in fase di restauro, chiusa al pubblico e una enorme gru la sovrasta. Mi sono visto costretto a cercare qualcosa di alternativo, ho aspettato il calare del sole e ho fotografato a distanza di sicurezza nei pressi di una rotoballa. Prima ovviamente ho smontato e spostato la gru. Mi tocca ammetterlo, la rotoballa è troppo centrale, vero: sarebbe stato opportuno decentrarla più verso sinistra, purtroppo era l’unico modo per coprire il cantiere e ho dovuto fare di necessità virtù. Ma ho già deciso di tornare da queste parti, perché la Val D’Orcia è meravigliosa.
Questa piccola Cappella, incorniciata tra due filari di cipressi, per quando piccola e sperduta tra i campi della Val d’Orcia è diventata la protagonista dei paesaggi più conosciuti al mondo. Si erge a Vitaleta,nei pressi di San Quirico d’Orcia, ed è stata edificata sull’ampliamento di un tabernacolo più antico. Fu per molti anni luogo di adorazione del simulacro della Vergine della Consolazione, fino a quando, nel 1553 venne inserito al suo interno una celebre statua della Vergine riconducibile ad Andrea della Robbia.
La statua, oggi conservata nella Chiesa della Madonna di Vitaleta nel centro di San Quirico d’Orcia, porta con sé una storia assai interessante: si dice, infatti, che fu proprio la Vergine, apparendo ad una pastorella, a suggerirle che i fedeli si recassero in una bottega di Firenze dove avrebbero trovato la statua da porre nella chiesa di Vitaleta.

Quando arriva maggio la camminata al Pis del Pes è un grande classico. Io non conosco nessun cuneese che non sia stato almeno una volta da queste parti, è un evento e la domenica sembra di essere in piazza Galimberti. Ci si arriva dopo un’ora di cammino dal rifugio di Pian delle Gorre, nel comune di Chiusa Pesio. In questo periodo dell’anno lo scioglimento delle nevi porta alla formazione di questa piccola serie di cascate e da qui nasce il fiume Pesio. In realtà il Pis del Pesio non è solo un getto d’acqua temporaneo, ma una vera e propria grotta percorribile per quasi 1922 metri di sviluppo e 89 di profondità; uno spettacolo della natura. E quest’anno, dopo aver visto mille e mille foto, ho deciso di salire anche io. Ho scelto due posizioni: dietro il getto principale, in un piccolo antro nascosto, e quasi frontalmente nel punto in cui al culmine della salita si scorge la cascata. Per scattare la prima foto mi sono completamente bagnato (o quasi)(acqua ovunque), per la seconda invece ho utilizzato un filtro ND che mi ha permesso di portare il tempo di esposizione a 25 secondi. Per compiere tutta l’impresa (salita, discesa e foto) ho impiegato poco più di due ore: il tempo indicato per la sola salita è di 1h e 40′. E infatti adesso sono leggermente stanco.


La foto di copertina è stata selezionata per essere una delle dodici immagini del calendario 2023 di Paroldo – Altra Langa dal titolo “Le forme dell’acqua” con questa motivazione:
Non poteva mancare una rappresentazione della forza, irruenza, maestosità dell’acqua, e questa fotografia ne rende bene l’immagine. Guardandola, capita, prima di vederne i dettagli, di sentire il rumore della cascata. L’occhio viene guidato allo scroscio da un abile uso della cornice circolare, forse ottenuta con un obiettivo fisheye, nella quale le ombre, giustamente, restano ombre e i dettagli si devono intuire. Crediamo di conoscere il luogo, sappiamo che si deve raggiungere in primavera, scarpinando, e facendo finta di non vedere i cartelli di pericolo. Quindi complimenti anche per questo.


Ha nevicato. Il terrazzo è bellissimo, vedo la neve intonsa e le montagne che vigilano. Dopo i fiocchi di neve di questa notte il cielo si è pulito, un timido sole riscalda il freddo della mattina, l’aria è frizzante, ma positiva. Non voglio camminare perché ho paura di rovinare la poesia, la perfezione: non c’è una regola, non è matematica eppure è tutto così preciso che sembra ragionato a tavolino. Rimango in silenzio sulla porta ad osservare la magia e non trovo parole, non ho il coraggio di avventurarmi all’esterno, non voglio provare imbarazzo per le mie impronte. Forse è una scusa, perché il freddo arriva anche qui e punge la pelle del viso in modo quasi doloroso. E’ inverno e la neve è un simbolo, una geometria quasi perfetta che mi racconta il senso della natura.

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
– Giacomo Leopardi


Sulla croce che domina il Sass Pordoi c’è un targa con una scritta particolare: “Cercate le cose di lassù. 50° Anniversario 1962-2012”. E’ stata aggiunta, e si capisce, nel 2012. E pensare che da quasi 60 anni (l’anno prossimo) questa croce domina una delle più conosciute cime delle Dolomiti è tristemente aberrante. Il tema delle croci in vetta alle nostre montagne è dibattuto da tempo e non può lasciare indifferenti soprattutto in un paese che si professa laico. E’ una delle cose al quale non si pensa mai, eppure nella natura incontaminata si continuano a costruire gigantesche strutture in metallo, plastica, cemento e vetroresina, generalmente di rara bruttezza (e pericolosità). Non confondiamo l’immanente con il trascendente. Ogni giorno che passa è un giorno perso: iniziamo a decrocifiggere la montagna.
Non c’è vetta di monte che non sia stata marcata da un qualche simbolo religioso, il crocifisso in testa a tutti, soprattutto nel nostro paese. La sommità delle montagne è stata luogo privilegiato della trascendenza, metafora dell’ascesa al cielo, sentiero di purificazione interiore. È sembrato perciò normale appropriarsi di questi vertici, della loro potente suggestione per veicolare il sacro. Allora percuoterli, scavarli, cementificarli per collocarvi sopra una più o meno grande croce è parso ovvio, una testimonianza di fede, un luogo privilegiato per il contatto col divino.