POSTED ON 24 Set 2022 IN
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POSTED ON 3 Giu 2022 IN
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Nel 1980 il ministero dei Beni Culturali ha riconosciuto il cementificio di Alzano Lombardo come bene di interesse culturale e lo ha sottoposto a vincolo. Si, perché questa struttura rappresenta una parte importante dell’industria italiana: nasce nel 1883 e per 70 anni è stato il fiore all’occhiello della società Italcementi. È un monumento non solo per quello che ha rappresentato, ma anche per come è stato costruito: nella sua edificazione furono utilizzati quasi esclusivamente materiali che venivano prodotti dalla stessa (cemento grigio, cemento bianco, Portland e Grenoble a pronta presa).
La storia delle Officine Pesenti inizia nel 1883 grazie ai fratelli Carlo, Pietro, Cesare, Daniele e Augusto Pesenti (quest’ultimo già ricordato per
Villa Camilla). Il ruolo più importante però è senz’altro da attribuire a Cesare, perché fu lui, ingegnere di assoluto livello, a definire sul piano tecnico la costruzione della fabbrica, ma soprattutto fui lui a concepire il ciclo tecnologico produttivo basandosi sui modelli francesi e studiando (e migliorando) l’efficienza produttiva dei forni verticali più diffusi dell’epoca.
Il cementificio Pesenti è un documento importante e fondamentale della storia industriale italiana: fu l’unico cementificio a produrre il cemento naturale fino al 1966 (anno di spegnimento dei forni). Nel tempo si cercò di ammodernarlo fin dove fu possibile per tenere il passo con le nuove tecnologie, ma per come era stato pensato e costruito (in modo dichiaratamente sperimentale da Cesare Pesenti che testò sulla struttura la qualità e la durata della produzione) il cementificio era talmente grande e poco flessibile che l’unica soluzione possibile fu la chiusura definitiva. Da oltre 40 anni è un vero e proprio monumento, purtroppo non visitabile: qualcosa nell’ultimo decennio è stato organizzato, ma la pericolosità e il rischio crolli impediscono qualsiasi forma di turismo sicuro. Dobbiamo accontentarci dell’opera di pochi valorosi e temerari amanti dell’urbex che testimoniano con foto e video un pezzo importante della storia industriale, e non solo, del nostro paese.





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POSTED ON 20 Mag 2022 IN
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I trattoristi di Beinette ne hanno combinata un’altra. Dopo l’albero di Natale hanno deciso di dedicare una composizione anche al giro d’Italia. E questa volta si sono davvero superati. Ho dovuto alzarmi in volo con il Drone (nuovo) per riprendere la loro opera. Adesso farò un giro in paese per fotografare il rosa e nei prossimi giorni pubblicherò il reportage. Ero andato al Gran Premio della Montagna, sul Nava, ma non potevo perdermi il passaggio del giro nel mio paese adottivo e sono tornato a casa. Ci vediamo a bordo strada. :-)
POSTED ON 17 Gen 2022 IN
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Quello che da tutti viene definito castello in realtà in origine nasce come palazzina di caccia del Mombrisone (dal nome dell’omonimo colle). Ci si arriva da Chiusa Pesio dopo una breve passeggiata in salita di circa 15/20 minuti, nulla di complicato. È davvero un peccato che sia abbandonato a se stesso da ormai troppo tempo: il comune è entrato in possesso di questo piccolo pezzo di storia da qualche anno e dopo averlo messo in sicurezza (in realtà una delle paratie non è sigillata e si entra facilmente) spero possa anche avviare un’opera di rilancio turistico.
Il Cav. Giuseppe Avena nella prima metà del secolo scorso era proprietario della Certosa di Pesio, da lui trasformata in stabilimento idroterapico, della fabbrica di vetri e cristalli di Chiusa Pesio e di numerosi terreni situati nel versante ovest della valle Pesio. Dopo aver fatto costruire alcune cascine nei pressi del colle Mombrisone, nel 1840 l’Avena fece innalzare alla sommità del poggio una originale palazzina di caccia. Edificata in stile neoclassico, la costruzione ripropone i temi architettonici introdotti dall’architetto veneziano Palladio con quattro gradinate che immettono attraverso altrettanti ampi portali di diverso disegno, nell’edificio di forma ottagonale composto al piano rialzato da un salone, tre piccoli locali di servizio e da una scala interna che portava al primo terrazzo. Da qui, attraverso una scala a chiocciola in ferro fuso, si saliva ad un secondo terrazzo al centro del quale un ampio lucernario illuminava la sala rotonda centrale ornata dai dipinti del Capetini, raffiguranti una scena di caccia con la Dea Diana, e dagli stucchi del Negrini. L’edificio è completato da un seminterrato che fungeva da cantina. La villa, rivestita in pietra scalpellata e in marmo, era immersa in un grande “giardino inglese” progettato da Giuseppe Ketmann. Già sul finire del XIX secolo la palazzina di caccia cominciò a decadere per le infiltrazioni di umidità e la mancanza di manutenzione. Crollato il grande lucernario, vennero asportate la scala a chiocciola, gli infissi ed i numerosi marmi. Negli ultimi anni il Comune, venuto in possesso dello storico edificio e dell’area circostante, ha avviato un graduale progetto di recupero della palazzina di caccia di Mombrisone.














POSTED ON 19 Nov 2021 IN
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Il Castello di Marene in realtà non è un vero e proprio castello. Il nome vero è Villa Grosso di Grana, dal nome della famiglia che la fece realizzare tra il 1850 e il 1854, ed è disabitata e abbandonata da oltre cinquant’anni. Fu il conte Carlo Amedeo Grosso a volere questa particolare costruzione, uno dei pochi esempi di neogotico in Piemonte. La sua progettazione venne affidata a Luigi Formento, l’autore del tempio valdese e della chiesa di San Secondo di Torino. Fu costruito in tempo record meno di 5 anni, il suo stile neogotico presenta caratteri architettonici ibridi, in quanto miscela elementi medioevali e gotici. Nel 1904 diventò dimora del conte Vittorio Solaro di Monasterolo che nel 1920 lo rivendette a Giuseppe Davico, proprietario di un’importante catena di alberghi di lusso in Italia ed in Francia. Dopo varie vicissitudini passò ad una società, che poi fallì, d’altronde le spese di condominio non dovevano essere irrisorie.
Nel 2013 gli interni furono scelti come location per la miniserie tv “La Bella e la Bestia“, con protagonisti Alessandro Preziosi e Bianca Suarez: la scena ripresa riguardava un incendio (ma fortunatamente non ho visto la serie TV)(andrò a cercarla).
La proprietà si estende su tre piani per 1087 metri quadrati, con sei camere da letto, 25 locali compresi alcuni saloni di rappresentanza, e un parco di tremila metri quadrati. La notizia è che il Castello di Marene, al quarto tentativo, è stato venduto all’asta per la misera cifra di 650 mila euro. Non è ironico, la cifra è veramente misera se pensiamo al valore intrinseco della Villa, certo ci sono tante considerazioni da fare e, soprattutto, riportarlo al suo massimo splendore non sarà un’impresa semplice. Auguri.





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POSTED ON 15 Nov 2021 IN
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Queste foto risalgono al Novembre 2017, dal punto di vista fotografico quasi un secolo fa (è una motivazione valida per la qualità decisamente scadente di alcuni scatti). Le ho integrate con due immagini dal drone durante scattate l’inverno scorso (cogliendo l’occasione di una pausa dal Covid); da tempo pensavo di ritornare a fotografare la Madonnina, ma il tempo è tiranno e oggi probabilmente è il caso di pubblicare senza ulteriori indugi, perchè il 19 novembre la Madonnina andrà in vendita per un valore di base d’asta pari a 3,5 milioni di euro. Niente male.
Si tratta di un grande stabile da 73 mila metri cubi che dal 1962 guarda Mondovì dall’alto con la sua inconfondibile silhouette curvilinea, la costruzione più discussa della storia della città. La Madonnina, ex collegio delle Domenicane ed ex struttura di assistenza, è inattiva dal 1986 e, nonostante diversi tentativi di rilancio, è attualmente in stato di abbandono.
Sinceramente la cifra mi sembra assurda, soprattutto per la bruttezza della struttura che deturpa il paesaggio di Mondovì e del rione di Piazza; andrebbe abbattuta a qualsiasi costo, senza guardare i bilanci, per costruire un parco a disposizione dei monregalesi (e non solo). La zona è meravigliosa, la vista sulle montagne incredibile, un secondo belvedere moderno darebbe lustro alla città: non vedo grandi soluzioni alternative.






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