



La discoteca Heaven è stata una delle mete classiche della movida anni ’70 ’80 ’90 torinese. La struttura è di circa 1700 metri quadrati e si trova sul Colle della Maddalena (non è un segreto da salvaguardare) proprio vicino al Faro della Vittoria.
I locali sono ormai devastati, i muri pericolanti e la natura inizia a riprendersi i suoi spazi, l’esterno della discoteca è diventato una foresta di edera. Poche cose si sono salvate dall’incuria: la scritta Heaven è rimasta perfettamente intatta come volesse ricordare a tutti che questo una volta era il paradiso della vita notturna, nel bar fa bella mostra di sè una bottiglia di Disaronno che sembra pronto per essere servito ai clienti del locale.
Rispetto ad altre discoteche, che solitamente si trovano isolate lontano dalle città, qui la situazione è respirabile, tranquilla, quasi rilassante. Fuori dalle vetrate le persone incuranti salgono la scalinata che porta al Parco della Rimembranza e non si percepisce quella sensazione di pericolo tipica delle cattedrali della musica del secolo scorso. Quasi niente adrenalina, quasi un peccato.



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L’ultimo Impero si trovava ad Airasca, nella città metropolitana di Torino. Negli anni ’90 è stata una delle più importanti e conosciute discoteche d’Italia, forse d’Europa: disposta su 4 piani disponeva di 7 piste da ballo, 9 bar, un’area interna da 7.000 m², una esterna da 12.000 m², 7 fontane, 2 cascate e impianti da 20.000 watt di potenza all’esterno, di 50.000 watt all’interno e 10.000 watt nel privé; poteva contenere fino a ottomila persone (forse anche diecimila) ed è stata per un periodo la discoteca più grande d’Europa. Dopo 3 anni di lavori e rinvii venne inaugurata il 22 settembre 1992; nel 1996 una retata della guarda di Finanza portò al sequestro di centinaia di pasticche di ecstasy, hashish, francobolli all’Lsd e cocaina. Fu un duro colpo dal quale l’Ultimo Impero non riuscì più a riprendersi sino alla chiusura nel 1998. Vennero proposte nuove aperture e nuovi nomi (Privilege, Templares e Royal Fashion Club) ma non ci fu nulla da fare e i fasti degli anni precedenti non vennero più ripetuti sino al fallimento del 2010. Oggi è in stato di abbandono, un gigante distrutto che giace sulla statale 23 per il Sestriere a 25 km da Torino. Dentro è ancora bellissima, affascinante, enorme: si percepisce l’atmosfera che fece straordinarie queste sale: le statue di gesso e il gigantesco disegno del pippistrello della Bacardi, che domina l’area esterna, sono un ricordo importante per chiunque sia passato anche una sola volta da queste parti. L’ultimo Impero è un simbolo degli anni ’90 e tale resterà per sempre.






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Il Cesar Palace è quella che posso definire la mia prima esplorazione urbex consapevole. Avevo già visitato luoghi abbandonati in precedenza, ma non avevo ancora chiaro quel concetto di fotografia. E in realtà non ero mai riuscito a visitarla con attenzione, la prima visita reale risale al novembre 2015, troppo tempo davvero; mi sono deciso quindi a tornarci con consapevolezza. Ho ritrovato un luogo ancora più buio di quanto ricordassi e decisamente più devastato, ma rientra nella logica delle cose. Mi sono visto costretto a scattare con tempi lunghissimi e ho preferito impostare gli ISO sempre a 400 mentre solitamente lascio sempre 100 per avere la miglior nitidezza possibile. Ho utilizzato una post più invasiva e decisamente più marcata per enfatizzare i colori e la pesantezza (è il termine più adatto) dell’ambiente. Diciamo che a distanza di quasi 6 anni mi sono tolto un peso dallo stomaco, ne sentivo il bisogno. :-)






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I più giovani la ricordano ancora come Arena, altri come Galaxy Pagoda, il nome sull’insegna è rimasto Divina. Costruita nel 1985 con una capienza di 3.200 persone è stata a lungo la discoteca più grande d’Europa e fino al 1993 ha ospitato centinaia di concerti e spettacoli con il meglio dei cantanti dell’epoca (fra gli altri Zucchero, Anna Oxa, Venditti, Vecchioni, Nomadi). Dopo diversi tentativi ha chiuso i battenti agli inizi del secolo e ormai giace triste e abbandonata sulla strada che da Cuneo porta a Caraglio. Dentro è terribilmente buia, nel tempo è stata vandalizzata, ma comunque mantiene un aspetto altezzoso come di chi ha visto il mondo cambiare dall’alto di un piedistallo: chissà quante storie potrebbero raccontare queste pareti. Non voglio nemmeno pensarci, peccato che un pezzo di storia della Granda sia ridotto in queste condizioni, un corpo morto abbandonato a se stesso. Chiudo con un gentile invito: Tobsy, o come diavolo ti chiami, se non sei capace la bomboletta ficcatela nel culo!





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Quando si fotografa una discoteca abbandonata (si, ho anche questa perversione) il problema maggiore è la mancanza di luce. Si, perché questi templi del divertimento sono essenzialmente luoghi notturni: la presenza di finestre e altre fonti di illuminazione naturale non è assolutamente prevista. Quindi è necessario armarsi di pazienza, treppiede e tempi lunghi di esposizione: si può mitigare l’attesa alzando leggermente gli ISO, ma ovviamente le difficoltà permangono. Nel caso del piano interrato della discoteca Divina di Caraglio il problema era di difficile risoluzione: buio assoluto (tarabu come dicono a Cuneo). Ma io volevo a tutti costi fotografare la pista da ballo e mi sono armato di fantasia e luce artificiale: ho lasciato aperto l’otturatore per 48 secondi e in questo lasso di tempo ho percorso due volte la pista in senso antiorario illuminando con una torcia a fascio concentrico il cerchio viola appeso al soffitto. Ne è uscita una interessante interpretazione di light painting che ha ridato vita e luce alle tenebre dell’abbandono. In senso letterale (ma anche poetico).

El Cielo è una discoteca abbandonata vicino all’aereoporto di Lanzarote. Ci sono arrivato in macchina un pomeriggio, sul posto (decisamente isolato) c’era già parcheggiato un altro automezzo; nemmeno il tempo di riflettere e vedo uscire di corsa dalla porta della discoteca una ragazza: capelli lunghi, stivali neri, vestito nero, maschera e fucile. Ho impiegato una frazione di secondo per capire che all’interno si stava disputando una partita (si definisce cosi?) di softair. Ho alzato i tacchi e sono tornato all’alba del giorno successivo. L’interno è saturo di munizioni (evidentemente le partite non sono sporadiche) e la situazione è di totale abbandono; sono state costruite, probabilmente dai giocatori, delle fortificazioni da utilizzare durante le battaglie sul campo. Ma quello che rende particolare la discoteca è l’enorme quantità e varietà dei graffiti che colorano le pareti: qui la fantasia non manca e la qualità dei disegni è davvero alta. Del tendone che copriva la pista principale è rimasto solo qualche brandello, si trattava chiaramente una discoteca all’aperto. Nonostante fosse un locale di alto livello, curato nei minimi particolari, è stato chiuso dopo solo due anni dall’apertura: mi hanno riferito che la posizione scomoda e le difficoltà ad arrivare senza mezzi pubblici (praticamente inesistenti in orario notturno) ne hanno decretato un veloce e inesorabile declino. Per la gioia dei softgunners.





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