La vibrazione sfacciata della pietra, un’epoca lontana ma ancora intatta e quel modo che hanno le torri di farsi guardare.
Sono uno da castelli, io.
– Fabrizio Caramagna
Claudio è un nome di fantasia, un re che ho inventato io. In realtà non esiste, almeno non qui, perché da qualche parte un Re Claudio ci sarà pure stato. Però nel castello del Re viveva sicuramente una contessa, una contessa molto conosciuta: Elisabetta Guasco Giriodi Panissera. Qui la storia si fra intrigante e diventa misto fra realtà e leggenda. Sembra che la contessa, intorno al 1935, avesse ricevuto in dono, dal cugino Duca di Aosta, una bellissima coppia di gatti Birmani, la prima a giungere, attraverso mille peripezie, in Europa. Nel tempo questi Birmani e la loro progenie presero possesso del castello. E’ diventato celebre come il castello dei gatti birmani. Gli abitanti del luogo, quelli un po’ più anziani, ricordano ancora i preziosi gatti della contessa. Forse è più storia che leggenda. Di sicuro durante la seconda guerra mondiale il castello venne occupato dai tedeschi, che stabilirono qui un importante centro operativo: terminata la guerra non fu più restaurato e da allora vive in stato di abbandono. Ci fu un tentativo di recupero nel 2005: una parte venne aperta al pubblico, ma la bella novità durò pochissimo. Ad oggi è ancora vuoto, triste e desolato.
Kalesi nella lingua locale (il cappadociano?) significa castello e questo è il celebre castello di Uchisar. L’avevo già notato il giorno prima dalla mongolfiera e appena sceso a terra avevo puntato la mia bussola proprio su Uchisar. E’ un castello davvero molto particolare in quanto interamente di tufo e completamente naturale. Uchisar è un po’ la Matera Turca, se mi permettete il paragone. Purtroppo non siamo riusciti ad entrare, a Gennaio la piccola città della Cappadocia vive la stessa trasformazione di Rimini e locali, musei e attrazioni turistiche sono chiusi. Ma comunque la bellezza è tutta nella vista (ricorda vagamente Porto Maurizio, ma questa la capiranno solo i Ciantafurche): e infatti abbiamo incontrato la giornata più nebbiosa degli ultimi 150 anni. Ma per un momento, velocissimo, la nebbia è scesa. E ho scattato una foto ricordo senza timore reverenziale.
Il Palazzo Gonzaga di Vescovato si trova a Portiolo, una piccola frazione di San Benedetto Po in provincia di Mantova. E’ una corte rurale, la prima villa-castello costruita fra il XV e il XI secolo dai Gonzaga, divenne poi cascina di caccia del ramo cadetto dei Gonzaga di Vescovato e infine residenza nobiliare e di prestigio. Fu abitato fino agli anni Sessanta del secolo scorso per poi essere completamente abbandonato al suo destino. La foto dei divani con le foto di famiglia è un simbolo nel mondo urbex, una delle più classiche figurine: dovevo andare. Sembra che da ottobre 2020 siano iniziati dei lavori di consolidamento, la cifra non è clamorosa quindi credo si possa parlare solo di messa in sicurezza. Vedremo.
Quello che in zona viene comunemente definito il Drosso è un castello abbandonato poco a sud di Torino sulle rive del torrente Sangone. E’ uno dei monumenti più antichi della città, si vede da lontano, da una strada a scorrimento veloce e non è facile arrivarci: per questo motivo è praticamente sconosciuto. Probabilmente sorse già come villa romana per poi ergersi come grangia cistercense nel XII secolo. L’edificio era di proprietà dei conti di Savoia, che al Drosso misero alcuni monaci anche per sorvegliare il territorio. Feudo dei monaci di Staffarda, poi dei vescovi di Torino, nel 1334 passò ai Gorzani, poi ai Vagnone; frazionato in quattro parti nel 1496 e condiviso fra più proprietari, fino al 1539 quando il conte Gugliemo Gromis di Trana riuscì ad acquisirne la maggior parte, il castello smise la sua funzione di fortezza per diventare una dimora gentilizia per il soggiorno delle famiglie nobili che frequentavano l’attigua reggia ducale di Mirafiori. L’ultima pagina della storia del castello risale agli anni quaranta del secolo scorso quando, con l’occupazione nazista, è costretto ad accogliere il comando Torino Sud dell’esercito tedesco. La presenza militare ha lasciato diverse tracce sulle rovine del castello: disegni e graffiti, tramezzi e impianti idraulici ed elettrici. Meravigliosa la piccola cappella di gusto alfieriano custodita nel parco. Un piccolo gioiello di origine tardomedievale, purtroppo in abbandono, che rimane in attesa di trovare nuovi proprietari e nuovo splendore.