
La Villa del Sacro Cuore è un luogo che affascina e spaventa allo stesso tempo, un angolo di decadenza e bellezza dimenticata che trasuda storia e mistero. Da fuori è decadente, antico, dall’aspetto quasi medioevale; appena si varca la porta il buio è sovrano, ma la poca luce del mattino che penetra attraverso la finestra rotta permette di scoprire lentamente l’abbandono. Gli occhi iniziano ad abituarsi, mi rendo subito conto che sarà complicato fotografare. Davanti a me si apre l’ingresso principale, confuso, ma maestoso: una scala di legno, meravigliosa, che sale verso il piano superiore, un lampadario che forse proviene dal castello di Re Artù e, appoggiati per terra, due scudi con l’effige del Sacro Cuore di Gesù, che sembrano quasi vivere di una luce propria. È un’entrata in scena che mi sorprende, non mi aspettavo un primo impatto così clamoroso, rimango qualche secondo ad ammirare lo spazio intorno a me, l’aria è stagnante, una sensazione molto forte di polvere e umidità.
La bellezza di quel panorama iniziale quasi mi toglie il fiato. Sebbene l’abbandono abbia ormai preso il sopravvento, l’atmosfera di grandezza del passato è ancora presente, la percepisco. La villa, un tempo forse luogo di grande eleganza e raffinatezza, ora è solo quello che si definisce un vuotone, con le sue pareti scolorite e rovinate dal passare del tempo. I soffitti affrescati, che un tempo dovevano essere l’orgoglio del proprietario, sono ora gravemente danneggiati, e le figure floreali che adornavano le stanze sono sbiadite, rovinate e quasi irriconoscibili. La luce si riflette sui muri scrostati, creando ombre che accentuano la sensazione di vuoto e disperazione.
Sono solo, cammino lentamente e ogni passo sembra lasciarmi sospeso, mi sento come un intruso in un mondo di un’altra epoca. Le stanze sono avvolte da una penombra che fa salire alle stelle la mia adrenalina, non sono troppo abituato alla solitudine. La villa si sviluppa su due piani, ma entrambi sembrano vuoti e privi di anima. Non ci sono più i segni dell’abitazione, né arredi, né oggetti che possano dare un’idea di come fosse la vita. Al secondo piano le finestre lasciano entrare una luce intensa e contrastata, ma ciò che mi colpisce è la tappezzeria decadente, i motivi geometrici e floreali ormai sbiaditi e caduti in più punti. In ogni stanza trovo cavi elettrici distribuiti in modo apparentemente casuale. La loro disposizione sembra priva di logica, come se fossero stati sistemati senza un reale motivo. Non riesco a capire il perché di questa confusione, che aggiunge un ulteriore strano elemento all’ambiente già misterioso di suo. Le pareti scrostate mi raccontano la storia del lento e inesorabile declino. Il rumore di un’auto che si mette in moto poco lontano è l’unica interruzione del silenzio che pervade ogni stanza, posso sentire il battito del mio cuore, il suono dell’otturatore che si apre e si chiude sembra fortissimo.
Mi sento inseguito dalla fretta e dall’ansia, ma il buio rende tutto più difficile. Tornando sui miei passi, decido di scattare ancora una foto dell’ingresso e della scala: e sarà la foto della copertina. Quando chiudo lo zaino e mi preparo ad andare via, non posso fare a meno di guardare un’ultima volta il Sacro Cuore di Gesù. È un ambiente pazzesco che mi emoziona e non mi lascia indifferente. Questa esplorazione è arrivata come un colpo forte, feroce e sorprendente, come una raffica di mitra che mi ha scosso, facendomi riflettere su ciò che il futuro potrebbe riservare. Resterà un ricordo indelebile, un’eco di un tempo passato che conserva il suo fascino, forse immortale, come una memoria che non svanisce mai, ma rinasce nelle nostre mani e nella nostra voglia di dimenticare.
Il Sacro Cuore è fonte della bontà e della verità;
Il Cuore di Gesù è espressione della buona novella dell’amore;
Il Sacro Cuore è la palpitazione di una presenza di cui ci si può fidare.
– Papa Benedetto XVI






» CONTINUA A LEGGERE «

Il Santuario di Santa Lucia si trova nel comune di Villanova Mondovì, abbarbicato in cima alla montagna sulla strada che porta verso Roccaforte. Si tratta di un antico ospizio costruito fra il 1500 e il 1800 aggrappato alle pendici del Monte Calvario, a strapiombo sul torrente Ellero. La sua particolarità è la Chiesa principale ricavata all’interno di una grotta nel quale è conservata la statua di Santa Lucia; questa caratteristica inserisce Santa Lucia in una rete di spettacolari santuari incastonati nella roccia e che comprende, fra gli altri, il Santuario Madonna della Corona a Verona e il Santuario di Rocamadour in Francia.
Diciamo che il santuario di Santa Lucia – quel nido d’aquila aggrappato alla roccia che probabilmente tutti conoscono, se non altro per averlo visto percorrendo la strada Villanova-Roccaforte – consiste essenzialmente in una grande caverna naturale scavata nella roccia calcarea che si apre su un fianco del monte Momburgo, comunemente detto Monte Calvario. La grotta – profonda una ventina di metri e larga pressappoco 8 – è stata adattata da alcuni secoli ad aula ecclesiale e dedicata alla venerazione di S Lucia di Siracusa, martirizzata durante la persecuzione di Diocleziano intorno al 304 d.C. Completano questa grotta-chiesa due edifici costruiti rispettivamente davanti e di fianco ad essa, appollaiati su una ripida parete rocciosa.
Il Santuario fu molto importante durante la resistenza partigiana fra il 1943 e il 1945. Qui veniva stampato clandestinamente la Rinascita d’Italia, curato dal prof. Giovanni Bessone. Nel sottotetto, nascosti e protetti dalla suore e da don Pietro Servetti arciprete della parrocchia di Santa Caterina di Villanova, trovarono rifugio molti partigiani tra cui il frabosano don Giuseppe Bruno, soprannominato “il prete dei Partigiani”, che fondò il gruppo “Azione e ordine”.
Chiniamo il volto rigato di lacrime sui nostri morti, sulle rovine dei nostri paesi, ma diciamo a tutti i fratelli che crediamo sempre più fermamente, proprio per il nostro strazio, alla
Rinascita d’Italia. Perché ogni nascita si compie, per ineluttabile legge di natura, nel dolore e nel sangue.






» CONTINUA A LEGGERE «

La ‘Ceramica Musso‘ è una delle aziende storiche del passato ceramico monregalese: nel secondo dopoguerra si è trasformata in Optilux e quindi ancora in Hellerval per poi chiudere definitivamente; non saprei dire l’anno, ma ho visto fatture (ovviamente sparse ovunque) datate 1971. In rete non si trova molto e quindi diventa difficile riuscire a fornire indicazioni attendibili e date precise; non sono riuscito nemmeno a capire cosa venisse prodotto negli ultimi anni di vita sotto il nome di Hellerval, anche se si trovano strane lenti (tipo da occhiali) ammassate in tutti gli angoli dello stabile. L’edificio è situato in una zona residenziale, ma non troppo, di Villanova Mondovì ed è abbandonato da talmente tanti anni che gli abitanti del posto non ci fanno quasi più caso. Dentro è enorme, ho perso il conto delle stanze e dei padiglioni: ho trovato animali selvatici, un motocarro di chissà quale anno, lo scheletro di una moto, una carriola distrutta, apparecchiature di vario tipo (la maggior parte delle quali assurde), una telescrivente (almeno mi sembrava), un paio di bilance e montagne di libri contabili. L’aspetto è decisamente decadente, si ha l’impressione che il tutto possa crollare da un momento all’altro. Quello che si respira però non è la solita aria di abbandono e di distruzione: qui c’è, in confronto ad altri posti simili, un sensazione di rispetto, di rispetto per la storia. Perché se questi muri potessero parlare racconterebbero di quasi 200 anni di fatica, di lavoro, di guerra; perché la Ceramica Musso, essendo nata nel 1851, è riuscita a sopravvivere a due guerre mondiali. E non è roba da tutti.









Annibale Musso, nipote di Benedetto, nel 1851 fondò una fabbrica di terraglia a Villanova, regione Giardini – Pradonio, con la quale raggiunse presto un buon volume produttivo. Il figlio Felice nel 1877 affiancò alla tradizionale “Vecchia Mondovì”, una produzione artistica più elevata. Fernando Musso ereditò dal padre nel 1921 la fabbrica, che nella crisi degli anni Trenta ebbe un’attività saltuaria, fino alla sua chiusura allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra l’attività riprese con un certo vigore. Mario Musso ereditò l’impianto nel 1951, ma la fabbrica vide ridursi sempre più il volume delle vendite. Nel 1964 cambiò la sua ragione sociale e sostituì la fabbricazione di terraglia con quella di supporti per resistenze elettriche.











Chi cerca oggi testimonianze visibili del passato ceramico monregalese deve portarsi a Mondovì Carassone, dove lo attendono i resti poderosi ed affascinanti della Richard-Ginori e quelli della Ceramica “La Vittoria”, oppure a Villanova, dove la fabbrica Musso conserva ancora i tratti dell’antico filatoio in cui trovò sede, a metà Ottocento. Gli altri impianti sono stati tutti abbattuti o radicalmente trasformati in modo da risultare non più leggibili.














Qualche tempo fa (settembre) ho assistito ad un’esibizione di Trial a Villanova di Mondovì. Ero il fotografo ufficioso e quindi ho avuto la possibilità di muovermi liberamente fra gli ostacoli del percorso. E’ stato un vero e proprio massacro. Fotografare una prova del genere in mezzo ai palazzi è stato frustrante; non sono riuscito ad ottenere una sola foto pulita. L’organizzazione dell’evento invece è rimasta soddisfatta perché nelle foto si vedono il pubblico e la città (una chiesa, abitazioni, un paio di negozi, le macchine parcheggiate); e pensare che io per tutto il tempo dell’esibizione ho cercato di isolare i motociclisti dallo sfondo. Ne pubblico due, ma una solo foto mi piace. E per ottenerla mi sono visto costretto ad andare giù pesante di timbro clone: da dentro al tubo di cemento ho fatto sparire un palazzo. :) Mi sembra comunque di aver ottenuto un buon risultato.