
Il 13 Maggio 1978 entrava in vigore la famosa Legge Basaglia: “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Sono passati solo 40 anni dalla legge che in Italia impose la chiusura dei manicomi, eppure se parliamo di camicie di forza ed elettroshock sembra di raccontare un altro mondo.
Il manicomio di Racconigi, definito sarcasticamente
Fabbrica delle Idee, è una struttura imponente nel pieno centro cittadino. E’ rimasto attivo dal 1871 al 1999, arrivando ad ospitare sino a 1500 pazienti. E’ diviso in padiglioni, il più importante, il più grande, è sicuramente il
Chiarugi nel quale venivano alloggiati (e in alcuni casi internati) i malati di mente. Le condizioni della struttura non sono buone, ci sono i segni di un incendio recente e molti pavimenti (soprattutto all’ultimo piano) sembrano sul punto di cedere da un momento all’altro. Tutte le stanze nascondono qualcosa di interessante, di misterioso, girando per i corridoi si respira un’aria particolare: quando si esplora un
manicomio abbandonato si riescono quasi a percepire le presenze dei
malati, si intuisce come doveva essere la vita all’interno della struttura. E’ come un incredibile viaggio nel passato e nella storia del paese.
Da anni ormai si parla di riconversione, soprattutto per la zona in cui si trova lo stabile: in pieno centro cittadino; eppure per una serie di motivi politici, finanziari e architettonici la situazione non si sblocca. Ed è un vero peccato. In questi giorni, complice l’importante ricorrenza storica, ho letto tanti articoli sugli ex manicomi in Italia e sulla loro situazione attuale: Racconigi non è l’unica città a vivere questa situazione, mi vengono in mente Voghera, Volterra, Vercelli, Genova, Mombello. Il punto è che ci sono anche esempi positivi al quale ispirarsi, come l’ex ospedale psichiatrico di Trieste dal quale partì la rivoluzione Basagliana: oggi è in parte recuperato e trasformato. Lo spazio non manca, le idee probabilmente nemmeno, i soldi si trovano: credo che nel 2018 sia giusto e doveroso far partire una nuova rivoluzione, sempre nel nome di Franco Basaglia, che permetta all’Italia di liberarsi di queste strutture fatiscenti per creare qualcosa di nuovo.







Il manicomio di Racconigi, unico in provincia, venne allestito nel 1871 nel padiglione «Chiarugi», un palazzone di oltre diecimila metri quadrati, costruito a cavallo fra 700 e 800, prima come ospizio per i poveri, poi adibito fino al 1868 a collegio militare. Un uomo e una donna rispettivamente di Barge e Monastero Vasco, nel 1871, furono i primi ricoverati. Con gli anni, in particolare dopo la Grande Guerra 15/18, la struttura si ingrandì, fino ad occupare una dozzina di ettari. Si aggiunsero altri padiglioni: il «Morselli», il «Marro» e il «Tamburini», la lavanderia, la centrale termica, la colonia agricola, il parco, l’acquedotto. Una «città nella città» totalmente autosufficiente. Negli anni ’70 i ricoverati sfioravamo i 1.500 e vi lavoravano più di trecento addetti: 7 medici, 52 infermiere, 121 infermieri, oltre a 67 suore (che agli inizi erano 140), impiegati, cuochi, sarti, muratori, macellai, panettieri. (La Stampa)

























Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione. (Franco Basaglia)

Questo mappamondo è diventato, suo malgrado, una grande celebrità nel mondo Urbex italiano (ed europeo). La sua foto è stata pubblicata da un fotografo belga e si è scatenata la caccia alla figurina. Poi l’ho trovato nell’elenco di un amico (olandese questa volta) sotto il nome di The Little School e, nonostante in Italia sia definita più prosaicamente La scuola del mappamondo, ho deciso di conservare il nome originale nel mio post. Il problema è che l’aula in questione è probabilmente (forse anche qualcosa di più) costruita a tavolino per stupire, per sorprendere. I dubbi sono pochi: tutto troppo perfetto e intatto, qualcuno ha raccolto i vari pezzi dalle stanze e ha ricostruito in maniera esemplare una piccola classe scolastica (da qui il nome). Io ho scattato la figurina (che ho pubblicato ieri) e una foto leggermente diversa che prova a rendere giustizia al vero protagonista di questa storia: il mappamondo. Ovviamente non c’è solo lui, non c’è solo il mappamondo, c’è anche dell’altro nella piccola scuola. C’è soprattutto Leonardo Murialdo, e voglio dedicare queste foto alla sua storia, alla sua grande dedizione per i bambini poveri e abbandonati.
Vi prego, dunque, miei cari figli e confratelli, vi prego di non scandalizzarvi minimamente per il racconto delle mie miserie, ma di attingere soltanto un’incrollabile confidenza dal racconto delle misericordie che Dio ha prodigato al vostro disgraziato Padre spirituale, e di imparare a non scoraggiarvi per quanto profondi possano essere gli abissi dei peccati nei quali possiate essere caduti. – S. Leonardo Murialdo



















Si tratta di un edificio fatto costruire tra il 1927 e il 1929 da Riccardo De Angeli (1° gennaio 1872, Modena – 20 marzo 1928, Torino), in quel periodo ispettore delle Assicurazioni Generali nel capoluogo piemontese e noto anche in altre parti d’Italia per il suo impegno nel promuovere numerose iniziative patriottiche in campo benefico e assistenziale. Il Centro, oggi in totale stato di abbandono, era stato creato inizialmente come colonia estiva per 300 orfani di guerra e figli di mutilati. Dopo il secondo conflitto mondiale il Centro divenne un convalescenziario Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) e infine, dal 1981 al 2007, divenne il Centro di rieducazione funzionale dell’ospedale torinese che porta il nome della principessa d’Asburgo Lorena, moglie di Re Vittorio Emanuele II. Lorena, consumata da otto gravidanze in dodici anni, morì quando aveva appena 32 anni, nel 1855, sei anni prima dell’unificazione e senza poter diventare la prima regina d’Italia – lo sarebbe diventata, nel 1878, la nuora Margherita, moglie di Re Umberto I. Dopo il 2007 il Centro di rieducazione funzionale dell’Ospedale Maria Adelaide è stato trasferito altrove e da quasi dieci anni il luogo che lo ospitava inizialmente è stato lasciato cadere in rovina, come si può vedere dal tremendo stato in cui versano gli arredi e gli strumenti di lavoro, dalle vecchie protesi e sedie a rotelle lasciate lì, dai polverosi dossier e dagli archivi pieni.




























