POSTED ON 2 Apr 2025 IN
Reportage
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URBEX

La Villa del Sacro Cuore è un luogo che affascina e spaventa allo stesso tempo, un angolo di decadenza e bellezza dimenticata che trasuda storia e mistero. Da fuori è decadente, antico, dall’aspetto quasi medioevale; appena si varca la porta il buio è sovrano, ma la poca luce del mattino che penetra attraverso la finestra rotta permette di scoprire lentamente l’abbandono. Gli occhi iniziano ad abituarsi, mi rendo subito conto che sarà complicato fotografare. Davanti a me si apre l’ingresso principale, confuso, ma maestoso: una scala di legno, meravigliosa, che sale verso il piano superiore, un lampadario che forse proviene dal castello di Re Artù e, appoggiati per terra, due scudi con l’effige del Sacro Cuore di Gesù, che sembrano quasi vivere di una luce propria. È un’entrata in scena che mi sorprende, non mi aspettavo un primo impatto così clamoroso, rimango qualche secondo ad ammirare lo spazio intorno a me, l’aria è stagnante, una sensazione molto forte di polvere e umidità.
La bellezza di quel panorama iniziale quasi mi toglie il fiato. Sebbene l’abbandono abbia ormai preso il sopravvento, l’atmosfera di grandezza del passato è ancora presente, la percepisco. La villa, un tempo forse luogo di grande eleganza e raffinatezza, ora è solo quello che si definisce un vuotone, con le sue pareti scolorite e rovinate dal passare del tempo. I soffitti affrescati, che un tempo dovevano essere l’orgoglio del proprietario, sono ora gravemente danneggiati, e le figure floreali che adornavano le stanze sono sbiadite, rovinate e quasi irriconoscibili. La luce si riflette sui muri scrostati, creando ombre che accentuano la sensazione di vuoto e disperazione.
Sono solo, cammino lentamente e ogni passo sembra lasciarmi sospeso, mi sento come un intruso in un mondo di un’altra epoca. Le stanze sono avvolte da una penombra che fa salire alle stelle la mia adrenalina, non sono troppo abituato alla solitudine. La villa si sviluppa su due piani, ma entrambi sembrano vuoti e privi di anima. Non ci sono più i segni dell’abitazione, né arredi, né oggetti che possano dare un’idea di come fosse la vita. Al secondo piano le finestre lasciano entrare una luce intensa e contrastata, ma ciò che mi colpisce è la tappezzeria decadente, i motivi geometrici e floreali ormai sbiaditi e caduti in più punti. In ogni stanza trovo cavi elettrici distribuiti in modo apparentemente casuale. La loro disposizione sembra priva di logica, come se fossero stati sistemati senza un reale motivo. Non riesco a capire il perché di questa confusione, che aggiunge un ulteriore strano elemento all’ambiente già misterioso di suo. Le pareti scrostate mi raccontano la storia del lento e inesorabile declino. Il rumore di un’auto che si mette in moto poco lontano è l’unica interruzione del silenzio che pervade ogni stanza, posso sentire il battito del mio cuore, il suono dell’otturatore che si apre e si chiude sembra fortissimo.
Mi sento inseguito dalla fretta e dall’ansia, ma il buio rende tutto più difficile. Tornando sui miei passi, decido di scattare ancora una foto dell’ingresso e della scala: e sarà la foto della copertina. Quando chiudo lo zaino e mi preparo ad andare via, non posso fare a meno di guardare un’ultima volta il Sacro Cuore di Gesù. È un ambiente pazzesco che mi emoziona e non mi lascia indifferente. Questa esplorazione è arrivata come un colpo forte, feroce e sorprendente, come una raffica di mitra che mi ha scosso, facendomi riflettere su ciò che il futuro potrebbe riservare. Resterà un ricordo indelebile, un’eco di un tempo passato che conserva il suo fascino, forse immortale, come una memoria che non svanisce mai, ma rinasce nelle nostre mani e nella nostra voglia di dimenticare.
Il Sacro Cuore è fonte della bontà e della verità;
Il Cuore di Gesù è espressione della buona novella dell’amore;
Il Sacro Cuore è la palpitazione di una presenza di cui ci si può fidare.
– Papa Benedetto XVI






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POSTED ON 30 Mar 2025 IN
Reportage
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mansion

La Villa dei Ritratti, o meglio, il Palazzo dei Ritratti, è un luogo che lascia un’impressione particolare. Abbandonato da tempo, distrutto e devastato, sembra racchiudere un’energia nascosta, come se ci fosse ancora qualcosa da raccontare, nonostante il suo stato di decadenza. La bellezza più evidente risiede in alcune stanze che, purtroppo, sono rimaste intatte solo parzialmente. Una delle stanze più suggestive è quella da letto, dove sono appesi i due ritratti che danno il nome alla villa. Ritratti di figure antiche e storiche, i cui sguardi sembrano ancora osservare chiunque vi entri. Attorno a questi quadri, un appendiabiti rovinato e storto, dei libri, vestiti sparsi sul letto, una carrozzella per bambini in mezzo alla stanza. La scena potrebbe sembrare disordinata, ma c’è una sorta di fascino che non si può ignorare.
Nel resto della villa, l’abbandono è evidente. Una stanza con un letto isolato, una camicia appesa, una cucina che sembra essere stata dimenticata con bottiglie di vetro ancora impilate. Ogni camera racconta poco, solo vetri rotti, persiane malconcie e muri che si scrostano. Quello che ho trovato davvero interessante in questo palazzo sono i pavimenti. Sono tipici del secolo scorso, con uno stile che richiama l’epoca e porta con sé un fascino vintage, un po’ retrò, che negli ultimi anni è tornato molto in voga. La loro bellezza non passa inosservata: riescono a trasmettere una sensazione di nostalgia e al tempo stesso di antica bellezza.
Nonostante la mia difficoltà nel fotografare questo luogo e il risultato non perfetto dal punto di vista tecnico, c’è qualcosa di intrigante nel Palazzo dei Ritratti che mi ha spinto a condividerlo. Forse è la storia che quei ritratti sembrano raccontare, o il contrasto tra la rovina e la memoria che ancora permane in quei luoghi. Non è un posto che offre una bellezza visibile a tutti, ma forse è proprio questo il motivo che gli regala un fascino unico.





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POSTED ON 27 Mar 2025 IN
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church

Durate il girovagare urbex capita, non di rado, di imbattersi in luoghi intriganti, almeno da lontano. Mentre andavamo alla ricerca di una piccola chiesa abbandonata ci siamo trovati davanti a una costruzione che inizialmente non riuscivamo a identificare. Ci siamo avvicinati e abbiamo scoperto che si trattava di una piccola cappella, chiusa con una porta in metallo e un lucchetto nuovo, segno di un accesso precedente, anche recente. Da fuori, una piccola finestra ci ha permesso di intravedere l’interno della chiesa, e questo ha aumentato il rammarico. Ho comunque deciso di fotografare con l’obiettivo da 14mm, sfruttando un diaframma aperto (comunque con il grandangolo la parte a fuoco è estesa) e alzando gli ISO per compensare la scarsa luce: nessuna intenzione di armeggiare con il treppiede, troppo complicato. Nella foto ho lasciato visibili le sbarre della finestra, per far comprendere che questa bellezza è stata fotografata dall’esterno. La chiesa è dedicata alla Beata Vergine Addolorata, ma viene chiamata in zona Madonna dei Campi. A volte, anche un’esplorazione parziale può raccontare qualcosa, magari solo da lontano.
All’interno della chiesa, gli affreschi sulla parete sinistra mostrano una Madonna in trono con il Bambino, databile al XIV secolo, accanto a un uccellino, inserita in una nicchia con fondo curvo. Più a sinistra, un altro lacerto d’affresco raffigura un frate francescano, il cui busto è stato recentemente strappato. Il presbiterio, sopraelevato rispetto alla navata, ospita un altare barocco con decorazioni in stucco e volute colorate. Dietro l’altare, resta visibile un frammento della Madonna Addolorata. Accanto all’altare, sono dipinti due profeti, identificabili rispettivamente con Davide e Geremia.
POSTED ON 24 Mar 2025 IN
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URBEX

Il Barbagianni comune (Tyto alba, se vi piace il nome scientifico) è un rapace notturno che potrebbe tranquillamente essere il Batman degli uccelli, se solo avesse una caverna segreta e un mantello. Appartiene alla famiglia dei Titonidi, ma quello che più ci interessa è il suo nome: Barbagianni. Vi siete mai chiesti da dove venga? Bene, barba è una forma settentrionale di zio (molto ligure in effetti), e Gianni… beh, è l’ipocoristico del nome italiano più conosciuto. Quindi, in pratica, è lo zio Giovanni del regno animale, un nome affettuoso che gli è stato dato per la sua reputazione di guardiano, come se fosse il nostro protettore notturno. Quando si avvicina alla sua preda, il Barbagianni ha una tecnica di volo che sembra un’arte marziale: un movimento oscillante che lo rende super discreto. E non solo, il suo volo è il più silenzioso di tutti gli uccelli conosciuti. Immaginatevi un ninja piumato che sorvola il mondo senza fare un rumore, l’incubo dei suoi nemici, il predatore perfetto. La sua struttura fisica è un altro segreto del suo successo: le ali, che sono molto più grandi rispetto al suo corpo, gli permettono di planare senza muovere un muscolo. È come se avesse il suo personalissimo hovercraft per volare senza sforzo. In poche parole, il Barbagianni è il supereroe dei cieli: silenzioso, agile e sempre pronto a sorprenderci.
Per volare verso il suo nido, bisogna essere come il nostro Barbagianni: dei veri e propri
ninja silenziosi. Aprire, sorvolare, scavalcare, camminare, salire, sempre nel massimo silenzio. E poi,
restare sorpresi e affascinati, perché il nostro supereroe
appare come per magia, all’improvviso, fiero e magnifico. È lui
il protagonista indiscusso della nostra esplorazione, e non potrebbe essere altrimenti. Ci osserva, ci scruta e, chissà, forse ci protegge anche. E come succede quando ci troviamo
di fronte a un eroe famoso e indiscutibile, il resto, purtroppo,
non regge il confronto, nonostante la sua straordinarietà e la sua bellezza. La sala che ospita il nostro pennuto è davvero incantevole, con un bellissimo pianoforte, una macchina da scrivere
Remington 12, un modello importato tra le due guerre dal famoso
Cesare Verona. E poi c’è una bottiglia storica di Vermouth Martini, che per un attimo mi ha fatto venire voglia di sedermi davanti alla Remington e lasciarmi trasportare nell’atmosfera di un
classico aperitivo all’italiana.
Potrei continuare a descrivere le meraviglie di questa villa, ma sarebbe inopportuno nei confronti del Barbagianni. Sinceramente non credo di averne la forza, anche se gli Amaretti di Sassello, la Savonarola e quel romantico baule lungo la scala avrebbero meritato almeno una menzione. Prima di uscire mi sono fermato sotto uno strano ed elegante porticato. Smoke ho pensato, ho capito e per un attimo ho sentito il desiderio di accendere una sigaretta, poi mi sono ricordato che quel vizio mi manca. Ho spinto la porta ed è come se fossi uscito in un altro mondo, un mondo che pensavo fosse libero: ho girato lo sguardo e davanti a me una strega, cattiva, forse anche più cattiva di quanto ricordassi. Non si può cambiare, non è un incantesimo, è magia nera, pura, che si aggrappa alle ombre e ti trascina nel baratro.














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POSTED ON 23 Mar 2025 IN
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mansion

Il mondo dell’urbex è affascinante anche, e soprattutto, per la sua varietà di esperienze, per i luoghi che possiamo scoprire, per le storie che raccontano. Ci sono tre tipologie principali di esplorazioni urbex, ognuna con le sue particolarità e il suo fascino.
La prima tipologia riguarda i luoghi completamente abbandonati e vuoti, quelli che non contengono più nulla. Si tratta di edifici che sono stati lasciati da tanti anni, vuoti e senza vita, ma il loro fascino consiste proprio in quell’atmosfera di abbandono totale, nel senso di nulla. La seconda tipologia è quella degli spazi che sembrano ancora vissuti, ma sono comunque abbandonati. Questi luoghi sono pieni di oggetti, alcuni lasciati in disordine, ma la maggior parte conservati come se fosse stata appena interrotta la vita di tutti i giorni. Non sono vuoti, anzi, e l’aspetto un po’ borderline dell’urbex esplode proprio qui: sembra quasi di intromettersi nella vita di uno sconosciuto, con l’impressione di una fuga improvvisa oppure di qualcuno che stia per tornare, ma non lo farà mai. Infine, la terza tipologia, che considero la più affascinante, riguarda le ville abbandonate da tantissimi anni ma che raccontano una storia dal passato. Si tratta di case che sono rimaste ferme nel tempo, ma che conservano ancora gli oggetti e le tracce di una vita. Questi luoghi sono come una capsula del tempo: muri decrepiti, tappezzeria scollata, finestre rotte, ma all’interno c’è un mondo che racconta di chi ci ha vissuto. La Casa del Maestro è un esempio perfetto di quest’ultimo tipo di esplorazione.
Quando si entra in un posto come questo si capisce subito che si tratta di un luogo abbandonato. Al primo piano l’ambiente è buio e si respira un’odore di muffa pestilenziale, gli oggetti sono ovunque, il disordine regna sovrano, con stanze devastate che parlano di tempo e di oblio: quasi impossibile riuscire a fotografare. Ma poi, salendo al piano superiore, la situazione cambia. Qui si percepisce chiaramente che la persona che viveva in questa casa era molto religiosa. Ovunque ci sono madonne, libri, oggetti di culto, ma anche tracce di una vita quotidiana che non c’è più. Le finestre sono spalancate, il guano di piccioni è visibile, i muri si stanno scolorendo, la tappezzeria è in procinto di staccarsi. Nonostante la confusione, si respira un fascino particolare.
Le stanze da letto sono una successione di camere piene di oggetti disordinati, sporchi e polverosi, ma allo stesso tempo affascinanti nella loro imperfezione. Tra i tanti libri, uno in particolare mi ha colpito: Le mie prigioni di Silvio Pellico. Questo mi ha fatto sorridere, perché proprio quel giorno, passando in una via che portava il nome di uno degli eroi del nostro risorgimento, avevo raccontato la gaffe di un amico su via S.Pellico: lui l’aveva chiamata, con una certa dose di ignoranza, via San Pellico. E quando sono entrato nella casa e ho trovato proprio quel libro, è sembrato quasi un segno del destino, un momento che potrei definire surreale.
Uscendo dalla Casa del Maestro la sensazione che ho avuto è stata quella di bellezza pura. Un’esplorazione che mi ha restituito la vera essenza dell’urbex: un luogo che è ancora tangibile nel suo abbandono, con quell’atmosfera decay davvero irresistibile. Non sono riuscito a capire l’origine del nome, non ho trovato oggetti con possibili riferimenti alla scuola, ma sicuramente qui viveva una persona di grande cultura. L’insieme delle foto è il risultato di due esplorazioni in tempi diversi e si notano le differenze: aguzzate la vista, ma solo per solutori più che abili.


















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POSTED ON 21 Mar 2025 IN
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fish-eye

Si prega per noi, che ne abbiamo bisogno. Anche se ho l’idea che serva davvero a poco, più probabilmente a niente. Questa affascinante chiesetta, originariamente più grande, ha subito nel corso dei secoli diverse modifiche strutturali. Alcuni documenti storici risalenti al 1590 descrivono l’edificio come composto da due navate, due absidi e due altari. Tuttavia, nel 1681, a causa delle gravi condizioni di degrado, fu intrapreso un restauro radicale che comportò la demolizione della navata laterale e della relativa abside, nonché il consolidamento delle pareti.
L’abside della chiesa, particolarmente affascinante, è ampia e ha un diametro di ben sei metri. È composta da una bellissima volta a cinque spicchi e, contro il muro, l’altare principale è decorato con stucchi in stile tardo-cinquecentesco, risalenti però al 1680. Sotto l’intonaco riemergono frammenti degli antichi affreschi, coperti con l’imbiancatura eseguita nel corso di un restauro settecentesco; un affresco rovinato in più punti che ritrae San Francesco d’Assisi mentre riceve le stimmate si nota ancora vicino alla porta laterale.
La foto che ho scelto come copertina è stata scattata con un obbiettivo fish-eye, il Sigma 15mm, che porto sempre con me (ha sempre uno spazio nello zaino). Devo ammettere però che ultimamente lo sto usando meno, forse anche a causa del tipo di esplorazioni in cui mi sto avventurando. In alcuni ambienti, però, il fish-eye riesce a rendere la scena più affascinante e intrigante. Quando si tratta di spazi angusti, come una piccola chiesa, la distorsione dell’ampio campo visivo unito alle rotondità tipiche di questi elementi architettonici creano un effetto molto interessante. È proprio questo che trovo affascinante, la due immagini scattate con quest’ottica mi piacciono molto perché riescono a catturare perfettamente l’atmosfera del luogo, e sono decisamente diverse dalle altre, risultando quasi illuminanti. Non è un’ottica fondamentale ovviamente, ma in certe situazioni, ma soprattutto in certi ambienti, può davvero fare la differenza.







