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Il Castello di Ferrè
POSTED ON 23 Mag 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, castle, drone

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Sul Castello di Gianfranco Ferrè non credo ci sia molto da dire e forse sarebbe meglio lasciare il compito di parlare alle immagini. Solo due informazioni, per aumentare il riscontro e dare un senso alle foto. Considerata una delle strutture più belle del Lago Maggiore, la villa fu costruita nel 1830, ma quando fu acquistata da Ferré giaceva da tempo in rovina. Il celebre stilista dedicò 15 anni della sua vita alla rinascita di quello che in origine era Castello Pellegrini: l’intenzione era di trasformarlo in un Relais au Lac di prima categoria, un ristoro di lusso, dove immergersi nel benessere e in servizi esclusivi. La sua scomparsa nel 2007 fermò questo progetto e il Castellotto nel 2009 passò di proprietà e venne dichiarato bene culturale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Incorniciato da un parco di 12mila metri quadrati composto per la maggior parte da piante secolari e impreziosito da ruscelli spontanei, il complesso comprende due spiagge private e tre architetture con un suggestivo affaccio sul Lago Maggiore: il castello principale, una dependance sviluppata su due livelli e un cottage di 120 metri quadrati. Di grande impatto e con proporzioni maestose, il castello, dall’estetica medievaleggiante, ha una superficie di oltre 600 metri quadrati, si sviluppa su tre piani fuori terra e un seminterrato e presenta una pianta regolare e simmetrica con due torrette angolari circolari e una torre quadrata centrale. Tanti i dettagli di prestigio che si fanno notare: dalla scenografica scala in marmo bianco Carrara al grande balcone sulla facciata orientata verso il Lago Maggiore.

Potrebbe sembrare un annuncio immobiliare degno di Italy Sotheby’s International Realty, ma in realtà mi sono limitato semplicemente a tagliare e incollare una delle tante descrizioni che si possono trovare in rete (nel caso specifico da Repubblica). Non so se il nome altisonante che viene affiancato a questa struttura potrà aiutare una sua rinascita, certo è che si tratta di qualcosa di bellissimo.

L’ho vestita come una donna libera, romantica come si può esserlo nel duemila: né pizzi né trine. Una donna senza età.
– Gianfranco Ferrè

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La Villa del Medico Artista
POSTED ON 21 Mag 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Viene definita Villa del medico artista probabilmente per una serie di oggetti relativi alla professione medica e per una grande quantità di libri dedicati alla storia dell’arte. Ma in realtà è difficile riuscire a risalire alle origini di questa abitazione che negli anni è diventata un classico dell’urbex. In molti l’hanno anche chiamata dell’accumulatore seriale per la confusione e per l’incredibile quantità di oggetti: ci sono stanze nel quale praticamente non si riesce a vedere il pavimento, altre sono state sistemate per riuscire ad ottenere foto più precise e interessanti.

Era divenuta celebre anche la presenza di un giornale datato 23 novembre 1963 che in prima pagina raccontava l’omicidio Kennedy: purtroppo nella confusione non sono riuscito a trovarlo. Probabilmente è stato portato via, senza troppi giri di parole potrei azzardare anche rubato.

Devo ammettere che ho fatto veramente fatica: da amante della razionalità e dell’ordine tutta questa confusione mi ha portato in loop negativo. Non sono riuscito a fotografare con la mente libera, non ho trovato una mia dimensione: in quella che probabilmente una volta era la sala da pranzo ho accusato un peso mentale insopportabile; senza dimenticare il terribile odore di muffa e di vecchio che quasi non permette di respirare. Certo non una delle mie esplorazioni preferite, anche se fra queste pareti si nasconde un’importante storia di vita. Purtroppo è sepolta sotto un ampio strato di cumuli dimenticati molto simili alla spazzatura.

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Chiesa di Pieve Gurata
POSTED ON 9 Mag 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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È noto che alcune delle migliori scoperte del mondo urbex siano frutto della strada: perché non esiste esploratore che durante gli spostamenti in macchina non osservi attentamente e scrupolosamente il paesaggio alla ricerca di segni di abbandono. E quando lungo il tragitto che da Villa Targaryen ci portava a casa abbiamo notato la Chiesa di Pieve Gurata il primo istinto è stato quello di fermarsi a controllare. E mai decisione fu più saggia.

Siamo a Pieve Gurata, frazione di Cingia de’ Botti, all’ingresso del comune per chi proviene da Cremona. Siamo ancora fuori dal paese, che si sviluppa circa un chilometro più avanti, ma il primo nucleo abitativo della zona si formò proprio qui e le prime notizie risalgono al ben lontano 876.

La zona era praticamente deserta, abbiamo parcheggiato la macchina e siamo entrati nella muraglia che circonda il piccolo prato antistante la chiesa. Di fronte all’ingresso abbiamo subito notato una piccola, ma deliziosa, edicola votiva. Per accedere all’interno si devono salire 4 scalini, coperti di erba e difficili persino da vedere, e quindi spostare leggermente il malfermo portone d’ingresso: la chiesa è completamente spoglia, l’altare è sparito, non ci sono le acquasantiere, l’intonaco si sta scrostando e il guano dei piccioni è ovunque. Ma nonostante tutto questa chiesa è ancora interessante, bella, silenziosa e incarna perfettamente quello che significa magia dell’abbandono.

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Ex Base Nato di Calice Ligure
POSTED ON 6 Mag 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, military, graffiti

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L’ex Base Nato di Calice Ligure fu costruita nel 1961, faceva parte di una rete di circa 40 stazioni militari in Europa e, grazie alla sua posizione strategica, contribuiva a monitorare gli spazi aerei nel territorio del savonese. La struttura era presidiata dalla 59th Compagnia U.S. Army Signal, appartenente al Battaglione 509th: siamo negli anni della Guerra Fredda, quando le potenze militari si sfidavano anche utilizzando strategie intimidatorie, vantando i migliori armamenti e le tecnologie più avanzate, il tutto sotto la minaccia di una guerra nucleare. Con il crollo del muro di Berlino e l’arrivo delle comunicazioni satellitari l’utilità della base calò drasticamente sino alla totale dismissione nel 1992.

Per arrivarci bisogna percorrere la Strada Provinciale 490 che conduce fino al Colle del Melogno. All’altezza della località Magliolo, si prende la Strada Provinciale 16, proseguendo fino all’incrocio con la Strada Provinciale 23, che porta verso la Madonna delle Neve. Dopo aver superato la chiesa, all’altezza della pala eolica, si imbocca una deviazione che procede su strada asfaltata, passando in parte nel bosco, arrivando fino all’ingresso della vecchia base americana. L’entrata è decisamente spettacolare e si comprende subito l’importanza strategica della posizione: da qui si domina l’intera vallata e la vista è davvero a perdita d’occhio.

Della vecchia base non è rimasto quasi nulla, all’ingresso si intravede il posto di guardia, la torre di controllo e tre edifici più imponenti: probabilmente la camerate, la sala radio e l’officina. Ma sono due le peculiarità che mi sono saltate subito all’occhio: la presenza di turismo sportivo, con tantissimi appassionati di ciclismo che si fermano qui per una pausa ristoratrice, e l’enorme quantità di meravigliosi graffiti che hanno trasformato la sede italiana della 046 US Army in un museo a cielo aperto. Negli anni si è parlato di recuperare questo spazio con tanti progetti, manco a dirlo, subito naufragati, ma forse meglio così: qui è conservato un pezzo di storia importante del secolo scorso e la possibilità di una visita libera è interessante per chiunque voglia spingersi fin quassù.

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Villa Targaryen
POSTED ON 29 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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L’esplorazione di villa Targaryen è stata una delle più sorprendenti della mia storia di urbexer. Perchè non mi aspettavo molto, avevo visto pochissime foto, ma appena entrato ho capito subito che si trattava di un luogo fantastico che trasudava di storia e abbandono. Inizio a dire che non conosco il significato del nome: generalmente viene scelto in base alle caratteristiche oppure per la posizione geografica. Qualche volta è scelto in modo incomprensibile e diventa reale con il passaparola. In questo caso potrebbe derivare dalla saga fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, ma sinceramente non saprei dire il motivo.

Villa Targaryen è molto particolare perché non ha una sola anima: si divide in tre come lo Spirito Santo. La prima parte che viene all’occhio è la zona padronale, enorme, antica, con il garage e la corte contadina. Poi si entra nella casa moderna: una sorta di appartamento, molto meno affascinante, che sembra essere stata l’ultima zona vissuta della proprietà. Infine, ultima ma non ultima, la meravigliosa dependance, probabilmente la casa dei custodi: divisa su due piani e due sole stanze, ma affascinante per la quantità di vita che si respira in mezzo all’abbandono. Ho pubblicato insieme queste tre anime, perché mi sembrava corretto non dividerle, ma credo che scorrendo le foto si riesca a comprendere perfettamente il passaggio da una zona all’altra.

È passato del tempo dall’esplorazione alla pubblicazione (sono sempre in ritardo), ma villa Targaryen mi è rimasta ben impressa nella mente. Non so dire da quanto tempo sia abbandonata e perché, ma qui ho respirato la vera decadenza, cioè quella sensazione reale di abbandono che viene spesso raccontata per definire la parola urbex. Si può comprendere la vita, ma si riesce perfettamente a osservare un’idea di assenza: le pareti scrostate con l’intonaco che si sfoglia, gli oggetti tipici addirittura della prima metà del secolo scorso, l’arredamento ancora intatto che ricorda le case dei nostri nonni nel dopoguerra, chincagliera ricercatissima che adesso definiremmo vintage, ma che sino a qualche anno fa non voleva nessuno. Un televisore a schermo catodico, la carrozzina, le tazze, una vecchia 500 senza targa in garage, la bambola dai capelli rossi, quello stucco con la sigla altisonante BA nell’ingresso. Purtroppo ho letto che recentemente i vandali hanno rovinato una parte dell’essenza incredibile di questa villa perché sappiamo che il rispetto non fa parte della nostra cultura. Un vero peccato, ma Villa Targaryen rimane comunque un luogo da scoprire. E ancora scoprire.

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Quel che passa il convento
POSTED ON 25 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Quel che passa il convento è un’espressione idiomatica tipica della nostra lingua; viene utilizzata quando ci si deve accontentare di qualcosa e quel qualcosa è solitamente limitato oppure economico.

L’origine si ritrova nelle opere di carità dei conventi i quali, tra le altre cose e soprattutto in passato, cucinavano per i poveri, i quali però dovevano accontentarsi di quanto preparato.

E nel caso di questa esplorazione l’espressione si adatta perfettamente alla situazione perché in effetti si tratta di un convento in stato di abbandono e, se lo osserviamo dal punto di vista dell’esplorazione urbana, ha davvero poco da offrire: un soffitto particolare, un murale, diversi bagni di rara bruttezza, un tappeto, uno strano divano quasi nuovo, qualche bottiglia (di notevole pregio il Punt e Mes in soffitta), un cancello arrugginito, un interessante chiostro. In questo caso, data la povertà degli arredi, si può anche raccontare qualcosa: il convento è opera del padre Servita Filippo Ferrari (1551-1626), figura di spicco in campo religioso e scientifico del suo tempo, che divenuto priore del suo ordine, nel 1606 ottenne di potersi dedicare alla riedificazione dell’antica chiesa dedicata a Sant’Agata e alla costruzione di un convento per ospitare i Frati servi di Maria. Dopo quasi 200 anni di attività il convento venne soppresso (insieme a molti altri) nel 1802 da Napoleone Bonaparte: da quel giorno la chiesa di Sant’Agata andò velocemente in rovina, mentre l’abitazione dei frati, trasformata in dimora privata e adeguatamente restaurata, conserva ancora oggi, pur essendo in stato di abbandono da tanto tempo, la sua maestosità e la sua bellezza architettonica.

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