Qui in provincia di Cuneo nevica senza soluzione di continuità da 24 ore ed è forse la nevicata più longeva da quando mi sono trasferito (cioè undici anni). In pausa pranzo ho deciso per una piccola escursione alla ricerca di foto (anche se non ero attrezzato a dovere) e ho rischiato di rimanere bloccato dopo un paio di tentati testa/coda. Sono quindi tornato sui miei passi e mentre rientravo ho intravisto questa interessante composizione: un classico tre contro uno. E’ stata davvero una cosa veloce, nevicava fortissimo: ho impostato la fotocamera in macchina, sono sceso rapidamente, uno scatto e rientro. Cinque secondi, ma sono riuscito ad indovinare la composizione che cercavo.
Questa esplorazione è ormai datata in epoca pre-Covid (credo che in futuro utilizzeremo spesso questa definizione temporale). Avevo visto le foto scattate dal cielo da un noto pilota monregalese e spinto dalla curiosità mi ero lanciato all’interno: il cancello era spalancato e non è stato difficile entrare. Si tratta dell’ex centrale Enel di Mondovì, in via Cuneo, in disuso e abbandono da quando si è dato il via libera al mercato libero (scusate il gioco di parole). Dentro non è rimasto praticamente più nulla: bellissimo il bancone della reception e mi sono immaginato le lunghe code di clienti nervosi; una situazione che per il sottoscritto fa tanto secolo scorso. Il resto sta crollando a pezzi, l’intonaco si stacca dalle pareti per l’umidità, le finestre sono aperte; ma non ci sono graffiti e i bagni sono stranamente ancora intatti. E’ passato oltre un anno, ma credo che la situazione sia solo peggiorata. E non è destinata a migliorare. Tutte le foto sono scattate con il 14mm: non mi ricordo il mio personale periodo storico/fotografico, ma probabilmente ero affetto da qualche strana malattia grandangolare. :-)
In pratica, la struttura, esclusa la parte tecnica tuttora di proprietà di Enel Distribuzione, sarebbe stata venduta a un fondo di investimento statunitense, che ha acquistato tutte le centrali dismesse in Italia da Telecom ed Enel.
Entrare in un istituto scolastico abbandonato e fatiscente è quasi sempre un’esperienza straniante. Perché è come immaginarsi di tornare a scuola, e senti le voci degli studenti e cerchi di capire la storia, come funzionavano le aule, immagini il brusio durante il cambio dell’ora, le interrogazioni. Si torna un po’ bambini e un po’ adolescenti, anche se il ricordo tende a sbiadirsi ogni giorno che passa e magari ti rivedi in tua figlia che da pochi giorni ha intrapreso il suo percorso scolastico. E poi entri nella palestra con l’intonaco che si stacca dalle pareti, il canestro e un soffitto meraviglioso e non comprendi come possa essere abbandonata una meraviglia del genere: perché l’ora di educazione fisica è sempre un momento di svago e ti ricordi le partite a squadre miste con quel pallone a spicchi che entrava raramente nel canestro. Sinceramente non sono riuscito a comprendere molto di questa struttura immersa nel centro storico, desolatamente vuota e con le porte spalancate. Forse abbandonata, forse in cerca di un futuro migliore, magari con la voglia di rendersi ancora utile. Quello che so è che il tutto è decisamente triste e tanto malinconico. Is this our future?
Secondo il Codacons sono migliaia le strutture scolastiche italiane a tutt’oggi fatiscenti e potenzialmente pericolose per la salute di studenti e personale scolastico. Il 46,8% degli edifici scolastici presenti sul territorio non possiede il certificato di collaudo statico e il 53,8% non ha quello di agibilità o abitabilità, numeri che preoccupano ancor di più se consideriamo che nel 2018-2019 ogni tre giorni si sono registrati episodi di distacchi di intonaco e crolli all’interno di edifici scolastici.
Il Cottolengo di M. (per questa volta non rivelerò la posizione) è stato inaugurato nel 1902. Era un sogno, il sogno dell’allora vescovo Giovanni Battista Ressia: si iniziò a costruirlo nel 1899 e, grazie all’operosità di volontari e maestranze, iniziò la sua storia il 18 novembre 1902. Una storia importante di aiuto e carità, opera nel quale la piccola casa della Divina Provvidenza di M. si è sempre distinta, attraverso un secolo, due guerre e tanta misericordia, sino al 30 giugno 2010 giorno in cui, con uno scarno comunicato, veniva notificata la cessazione dell’attività che comunque da tempo si era decisamente ridotta. Sono passati quasi 10 anni da allora e il Cottolengo è ancorà lì, nonostante le mille voci di cessione, e giace in stato di abbandono. L’interno della struttura è enorme e in ottimo stato di conservazione, non sembra siano passati 2 lustri: la cappella è ancora perfetta, le stanze sono vuote e spoglie, i corridoi silenziosi. Nel parco gli animali selvatici hanno preso il sopravvento e si godono l’assenza dell’uomo. Sono trascorsi 118 anni, ma la piccola casa della Divina Provvidenza è ancora e sempre un’oasi di pace e tranquillità.
Caritas Christi urget nos!
– San Paolo, 2Cor 5,14