
Ho inseguito la Chiesa Verde per lunghissimo tempo, un’attesa infinita. Le notizie, frammentarie, dal mondo urbex mi lasciavano intendere che forse non era destino e che il Verde non era un colore adatto al sottoscritto. Poi un giorno ho tentato, quasi casualmente, e ho trovato la porta spalancata, una tranquillità che non immaginavo, una bellezza abbandonata e memorabile. Purtroppo questa Chiesa è un meraviglioso fiore nel mezzo del deserto industriale genovese: era parte integrante di Villa Durazzo-Cataldi che fu abbattuta negli anni ’60 del secolo scorso per fare spazio ad una raffineria. Ancora oggi paghiamo a caro prezzo lo scempio edilizio ed industriale dell’Italia del boom economico. Ci sono stati diversi tentativi di recupero, ma attualmente la Cappella di Villa Durazzo-Cataldi versa in stato di profondo abbandono e lo spazio antistante è stato affittato come parcheggio per i mezzi pesanti. Nel mondo urbex è stata definita Chiesa Verde per via dei colori che risaltano all’interno, sulle pareti e dalle vetrate, ed è uno di quei luoghi del quale bisogna parlare, parlare e ancora parlare: perché un recupero è davvero auspicabile e doveroso.





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La Mira Lanza è stata una delle aziende italiane più famose: questo perché negli anni d’oro del Carosello fu protagonista di numerosi spot pubblicitari con personaggi diventati icone come Calimero e la bella olandesina. Ava come lava, con la voce del piccolo pulcino nero, ancora oggi è uno degli slogan più conosciuti nel nostro paese. La storia di questa azienda attraversa quasi 100 anni della vita italiana, inizia nel 1924 quando due antiche aziende, la veneziana Fabbrica di candele di Mira, produttrice di candele, e la torinese Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza, produttrice di saponi, si fondono insieme, dando così vita alla Mira Lanza società anonima. La fabbrica conta ben 5 grossi stabilimenti sparsi per l’Italia, sopravvive alla seconda guerra mondiale nonostante il ridotto consumo dei suoi prodotti, nel 1948 nella fabbrica di Mira sono costruite le prime unità di solfonazione e le prime 2 torri di spruzzature, con le quali veniva realizzato il primo detersivo in polvere della Mira Lanza, noto come MIRAL e nel 1953 viene lanciato sul mercato AVA con la sua formula al perborato stabilizzato che rendeva il pulcino Calimero così pulito. Nel 1984, dopo varie vicissitudini, la Mira Lanza viene ceduta alla ditta chimica Montedison e inizia il declino che, tra speculazioni finanziarie e meccanismi che portano alle smembramento delle fabbriche del gruppo, si concluderà nel 2001 con la chiusura di tutti gli stabilimenti e la sparizione del marchio. Lo stabilimento che ho visitato e, ovviamente, fotografato, è quello di Genova: copre una vasta area di circa 20.000 metri quadrati in una delle zone industriali e periferiche della città. Come sempre in questi casi si parla di recupero, ma al momento tutto rimane nel vuoto e nel silenzio delle varie amministrazioni comunali. Calimero non sarebbe contento.



















La proposta di costruire un manicomio viene esposta dall’Amministrazione provinciale di Genova nel 1892. Viene individuata un’area di 70.000mq a Quarto dei mille, vince il concorso l’ingegnere Vincenzo Canetti, e l’appalto viene affidato alla ditta milanese Francesco Minorini. I lavori procedono spediti è già nel 1895 viene completata parte del progetto, così 377 pazienti sono accolti nel nuovo manicomio: essi vengono trasferiti all’alba con mezzi appositamente noleggiati, al fine di evitare “l’inopportunità della folla, che certamente si sarebbe agglomerata lungo le vie ad osservare il convoglio dei pazzi”.
Il progetto originale prevedeva che la struttura sarebbe potuta arrivare ad ospitare un massimo di 700 malati, ricoverati in cinque sezioni diverse: tranquilli, epilettici e mesti, semi-agitati, agitati ed infermi. Malgrado le dimensioni del complesso, dopo solamente un anno è palese la mancanza di posti letto: nel 1904 i pazienti residenti a Quarto passano da 973 a 1010, tra cui alcuni bambini sistemati nel reparto semiagitati ed altre bambine alloggiate senza criterio nei vari reparti. La mortalità tra i ricoverati raggiunge il 10% a causa della tubercolosi e risulta evidente la necessità di una nuova struttura. A causa del sovraffollamento, le stanze da bagno sono indecenti –i dormitori sono occupati da un numero di letti di gran lunga superiore alla capacità consentita– e in alcuni casi non è possibile il passaggio di una persona tra un letto e l’altro; inoltre nelle stanze di isolamento sono collocati fino a quattro letti. Nel 1924 la Deputazione provinciale attua alcune misure di miglioramento e le condizioni del manicomio di Quarto iniziano a cambiare. La Provincia, nel 1927, unifica sotto un unico Dipartimento Sanitario la struttura di Quarto e di Cogoleto. Nella prima dispone l’accettazione ed i malati guaribili, nella seconda i laboratori ed i malati cronici inguaribili. Il termine “manicomio” viene sostituito dalla denominazione “ospedale psichiatrico”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questi edifici sono stati occupati dai militari italo-tedeschi ed i pazienti vengono trasferiti tutti nella seconda struttura.
Concluso il conflitto mondiale, l’ospedale si ripopola progressivamente, il primo intervento nel dopoguerra risale al 1963, quando a causa dell’aumento del tasso di mortalità, viene creata una Commissione speciale al fine di valutare le condizioni della struttura. Nello stesso anno nasce la psicoterapia e si definisce un piano di ristrutturazione per l’intero complesso. Nel 1969 viene aggiunto finalmente un nuovo padiglione per colmare le carenze di spazio, dal 1978 però, grazie alla legge Basaglia, il manicomio viene progressivamente dismesso sino alla definitiva chiusura del 1997. Il resto è storia, da diversi anni si cerca un recupero del manicomio di Quarto: purtroppo la burocrazia è un muro di gomma e i risultati sono davvero scarsi.










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E’ domenica, è Genova. Potrebbe piovere ma no, c’è aria gelida e un freddo inaspettato per essere Liguria. Il parcheggio al Silos è un classico dal costo esorbitante, due passi verso il centro, il vento ti sferza in faccia e devi alzare il bavero della giacca per proteggerti. Aprile è già iniziato, ma è strano. Sembra ancora presto, ma la mattina è già inoltrata, nonostante le condizioni atmosferiche ci sono persone. Tante persone e non ci credevi. E’ come l’attesa che arrivi il giorno vero. Prendi il 24-70, aumenti gli ISO quanto basta per garantire una velocità eccessiva a tuttaapertura. Ti guardi intorno, osservi, pochi secondi. Qualche scatto, il tuo occhio si sposta sullo schermo: è iniziato il giorno vero.

Genova mia città intera.
Geranio. Polveriera.
Genova di ferro e aria,
mia lavagna, arenaria.
Genova città pulita.
Brezza e luce in salita.
Genova verticale,
vertigine, aria scale.
– Giorgio Caproni