
C’è questo piccolo e bellissimo paese disperso fra le alture del Piemonte. E qui tanti, ma tanti anni fa, dopo una tremenda alluvione, crollò un ponte; era un ponte importante, un passaggio vitale di merci e persone. Gli operosi abitanti di quel piccolo paese si misero subito all’opera per ricostruirlo e in breve tempo il ponte tornò a lavorare. Ma in quel piccolo lasso di vita in tanti si accorsero che si stava bene anche senza quel ponte; anzi, forse si stava peggio, ma i costi erano superiori ai benefici. Purtroppo è la storia del nostro mondo votato esclusivamente al dio denaro; e pazienza se per molti quel treno era veramente importante: nel giro di qualche anno si decise che su quel ponte il treno non sarebbe più transitato e la linea ferroviaria venne prima cancellata e infine abbandonata al suo destino. E la stazione? E la stazione anche. Perché se il treno non passa a cosa serve una stazione? A nulla. E i giorni passano inesorabili, gli anni pure, e la stazione di B. ormai fa parte di un panorama di abbandono al quale nessuno fa praticamente più attenzione. Solo il dalmata Baily e il suo padrone sanno dove si trova e vengono qui tutti i giorni a passeggiare sulla banchina nel silenzio assordante di un treno che non passerà più.
È una fiaba inventata per raccontare in modo più intrigante una banale storia di abbandono. Nomi, luoghi e persone sono frutto della fantasia dell’autore e nulla è riconducibile a fatti realmente accaduti. Almeno credo. Le foto sono state scattate senza rompere nulla, senza disturbare nessuno e senza portare via niente, come da
regole del mondo urbex.





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Ha appena finito di piovere, fra brutto, fa freddo e nel giorno di festa sono a casa che mi diverto con la post. E davanti a me sberluccica questo piccolo Minolta MD Rokkor 50mm f/2 di fine anni ’70 che sembra fatto apposta per i dettagli. Il modello per l’occasione diventa il melograno, solo estetico, che ho piantato sette anni fa: i frutti sono prossimi alla caduta e le foglie, ormai ingiallite dall’autunno, a breve termineranno la loro vita sul terreno. I tubi di prolunga sono eccessivi e troppo dettagliati, quindi mi limito a un macro per finta scattando a mano libera con il focus peaking della EOS R. C’è ancora un percé.

Non sono quello che si può definire un appassionato del genere Macro; questo è praticamente il secondo post originale dedicato a questo tipo di fotografia. Ma in giorni di lockdown in zona rossa ci si arrangia: ho comprato una bellissima serie di tubi di prolunga e ho deciso di cimentarmi nella nobile arte. Per questo ritorno al macro ho scelto un albero di ciliegio nel giardino dei miei suoceri, la primavera è appena iniziata e il nostro è in piena fioritura. Ho utilizzato il 24-105 f/4 impostando il fuoco manuale con diaframma a f/13. In realtà non si tratta di un vero macro che in teoria richiederebbe un rapporto almeno di 1:1 (ripeto, in teoria), nel mio caso utilizzando tubi di prolunga da 36mm e una focale di 105 arrivo all’incirca a 1:3, quindi si parla di fotografia a distanza ravvicinata: vi risparmio calcoli noiosi, ma per ottenere il rapporto di legge avrei dovuto scattare a 35mm. Come anticipato pocanzi non sono un esperto del macro e quindi ci saranno degli errori, ma trovo comunque le foto gradevoli.



Per una volta faccio del giornalismo in tempo reale e riesco a pubblicare la foto di un evento praticamente al volo (nel vero senso della parola). Perchè? Semplicemente perchè l’evento, cioè il volo in mongolfiera di una Due Cavalli, si è sviluppato a Beinette e sono riuscito ad immortalare l’evento seduto comodamente nel giardino di casa. In timing perfetto, e quasi senza volerlo, mi sono ritrovato con il drone in aria proprio nel momento del decollo: è stato un po’ come guardare la televisione, anche se alzando gli occhi dallo schermo avrei anche potuto intravedere la sagoma gialla della mongolfiera in volo. Bellissimo.

Com’è, com’è, com’è
Che c’era posto pure
E per le favole
E un vetro che riluccica
Sembrava l’America
E chi l’ha vista mai
E zitta, e zitta poi
La nevicata del ’56
– Mia Martini