Nel misterioso e affascinante mondo dell’urbex, c’è una verità inconfutabile: ogni esploratore sogna di essere il primo. Il primo a entrare, il primo a scattare quelle foto uniche che nessuno ha mai visto prima, perché in questo universo di avventure e scoperte, la posizione privilegiata di chi scopre una location sconosciuta ha un valore inestimabile. È questione di prestigio, di un gioco di scambio che si basa sulla rarità e sull’esclusività. Ma io? Io sono diverso. Non ambisco mai a essere il primo. Non c’è nulla di intrigante per me nel brivido iniziale della scoperta, e anzi, a volte mi sembra che quella fretta di essere i primi tolga la magia stessa dell’esplorazione. Non è solo questione di paura dell’ignoto, anche se, se devo essere onesto, un po’ di timore c’è sempre; ma quello che conta davvero per me è il processo che si cela dietro la fotografia.
Un esempio perfetto di questa sensazione è la tana del bianconiglio, così chiamata per un dipinto che troneggia sulla parete principale della stanza. La sua storia l’avevo già immaginata, il contesto mi era familiare, eppure quando sono entrato nella camera da letto e ho visto quel passeggino abbandonato, ho provato una scarica di emozioni fortissime. Mi sono sentito piccolo e sbalordito, come quando da bambino ho visto la Torre di Pisa per la prima volta. Era come se quella visione, che avevo già visto mille volte attraverso gli occhi di altri, fosse finalmente arrivata a me, più viva, più palpabile di qualsiasi immagine. In un certo senso, è il potere della memoria visiva, un potere che non smette mai di sorprendermi, soprattutto ora che l’età mi rende sempre più susceptibile alle suggestioni e alle emozioni legate a questi luoghi nascosti, che solo un’esplorazione intima e personale può rivelare.
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infranti distrutti distratti da troppo e stretti in una morsa letale
che non dà tempo al Bianconiglio che è sempre in ritardo perenne
come le mie parole scritte in una storia che non è una favola.
– Michele Tropiano