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Parco Sculture Rainer Kriester
POSTED ON 28 Ago 2024 IN Reportage, Landmark, Landscape     TAGS: museum

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Rainer Kriester è stato uno scultore e pittore tedesco. Nel 1982 si innamorò della collina di Castellaro a Vendone, in provincia di Savona, e decise di trasferirsi nel piccolo centro ligure. Nel 1999 gli fu conferita la cittadinanza onoraria e nel 2002, anno della sua morte, la fondazione che porta il suo nome creò il parco museale con le sue opere: sono 35 sculture in pietra posizionate in direzione mare sulla collina della frazione di Castellaro. Si tratta di creazioni monumentali, molto particolari, che spesso vengono definite (forse in modo eccessivo) la Stonehenge italiana.

Quando sono arrivato all’entrata del Parco sono rimasto deluso. Si tratta di un museo all’aperto, totalmente gratuito e fruibile da chiunque. Però sinceramente mi aspettavo un’accoglienza migliore e devo ammettere che la meriterebbe. L’ingresso è spartano, chiuso da una sbarra metallica, ci sono pochissime informazioni: due cartelli che indicano il nome dello scultore e poco altro. L’interno gode di una vista meravigliosa sul mar Ligure, ma è poco curato: sono presenti resti di lavori iniziati e mai terminati, erba incolta, cartacce e spazzatura. Senza soffermarmi sull’inciviltà delle persone credo, che il parco dedicato alle opere di Rainer Kriester meriterebbe un marketing e una cura migliori: perché è davvero molto bello, quasi spettacolare in certi momenti della giornata. Io ho avuto la fortuna di trovare un cielo cupo, ma intenso, e questo ha reso le foto quasi artistiche; mi sono visto costretto a pulire la sporcizia: ho tolto le lattine di birra e qualche bicchiere di plastica (fortunatamente avevo un sacchetto in macchina), il resto l’ho fatto con il software di fotoritocco.

Da questa pagina lancio un appello ai visitatori, alla fondazione, al comune di Vendone: il parco è bello e sarebbe importante dargli l’attenzione che merita, sia dal punto di vista pubblicitario (pochissime persone lo conoscono), sia dal punto di vista strettamente dedicato all’accoglienza e al mantenimento. Potrebbe essere utile che i lavori in corso (credo che siano in corso da molto tempo) giungessero al termine e che alle opere di Rainer Kriester venisse dedicato qualcosa di più importante che un semplice prato verde (che non è nemmeno tanto verde).

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La fatiscente Villa Cenere
POSTED ON 26 Ago 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Villa Cenere è una delle dimore storiche del mondo urbex italiano. È abbandonata da tantissimi anni ed ha quella decadenza affascinante e distruttiva che la rendono ancora oggi bellissima e fatiscente. Per una serie di motivi non ero mai riuscito ad avvicinarmi: perché si parlava di crollo imminente e, soprattutto, perché la zona non era delle più raccomandabili (storie di brutte presenze). Ma finalmente è arrivata anche l’ora della cenere.

Non conosco la storia e le origini di questo abbandono, credo che il nome sia dovuto alla forte presenza di cenere che si trova nella stanza con il camino (e il pianoforte) e per via di un principio di incendio che ha interessato quello che doveva essere un ripostiglio. Le stanze sono in disordine e molto sporche, questo però non riduce la bellezza, anzi, conferisce quell’anima di decadenza distruttiva del quale parlavo all’inizio: è vero abbandono, non quello finto delle agenzie immobiliari.

C’è anche una piccola storia che voglio raccontare: questa splendida villa immersa nel verde (con tanto di piscina) è sempre stata famosa per la presenza di due pianoforti. Io ho fotografato in tutte le stanze, ma ho trovato un solo strumento musicale. Sul momento non ho riflettuto, ma ho deciso, controvoglia, di controllare il giardino: e uscendo all’esterno mi sono accorto di un’altra zona della casa, nascosta dalla vegetazione. Quando sono entrato ho capito subito che stavo per saltare la parte più bella ed emozionante: ricordavo di aver visto in qualche foto la stanza con il secondo pianoforte, ma il tempo non perdona ed oggi è completamente diversa: la stanchezza della struttura e gli eventi atmosferici hanno contribuito al crollo del tetto coprendo il pavimento di detriti, calcinacci, legno e tegole. Si sono salvati in parte il divano, un paio di sedie, il secondo pianoforte e un bicchiere! Ho fatto molta attenzione (il rischio che mi potesse cadere qualcosa in testa non era da sottovalutare), ma sono riuscito a scattare la foto più importante dell’esplorazione. Per una volta sono riuscito a vincere contro fretta e pigrizia.

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Palazzo Lucifer
POSTED ON 22 Ago 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Quando si entra nella stanza rossa si rimane semplicemente allibiti. È un effetto straniante, sembra di entrare in una finzione cinematografica, ma in realtà è tutto vero. L’effetto è creato dalle tende rosse che coprono le enormi vetrate rivolte, in modo strategico, verso sud: una sorta di veranda a giorno e non so quanto fosse voluto, ma non penso fosse possibile rimanere in quella stanza, con le tende chiuse, molto a lungo. Io ho resistito pochissimo, sono scappato, come trovarsi di colpo catapultati all’inferno: e il nome Palazzo Lucifer prende spunto da questa sensazione. Quando si guardano le foto è come se davanti all’obbiettivo fosse presente un filtro colorato, ma in realtà è tutto naturale e la percezione è quella di trovarsi all’interno di un set di un film dell’orrore: Profondo Rosso di Dario Argento è il primo titolo che mi viene in mente, quasi fisiologico.

La stanza rossa è la prima che si incontra e potrebbe già raggiungere il punteggio sufficiente. Invece siamo solo all’inizio. Il palazzo è composto da due piani e le stanze riservano una sorpresa dietro l’altra. È una definizione forse abusata, ma si tratta davvero di una capsula del tempo. Non ho un modus operandi preciso in urbex: qualche volta esploro prima tutta la location per farmi un’idea, altre volte preferisco andare in ordine sequenziale stanza dopo stanza. Qui ho scelto questa seconda opzione e la successione degli ambienti è stato quasi un crescendo rossiniano.

Quando sono arrivato all’ultima stanza, una particolarissima camera da letto, ho quasi tirato un sospiro di sollievo. Non sarei riuscito a sopportare oltre, ero stremato dalla incredibile bellezza che incontravo ogni volta che varcavo una porta. Il bello è stato quando, dopo aver esplorato il primo piano, mi sono reso conto che il piano superiore era anche meglio: per un attimo ho fatto fatica a crederci. Quello che un tempo era un meraviglioso soggiorno è ancora oggi, seppure in stato di abbandono, il tratto distintivo di una storia importante e prestigiosa: sono rimasto in silenzio diversi secondi prima di riuscire a posizionare il cavalletto, non riuscivo a staccare gli occh dal giallo delle poltrone. E poi per uscire è necessario passare nuovamente dalla stanza rossa: è come un ritorno all’inferno dopo la tracotanza del paradiso.

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Villa Ninja
POSTED ON 19 Ago 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Ultimamente il mondo urbex è diventato esagerato, senza freni. Non ho un termine veramente adatto, devo accontentarmi di esagerato. Perché mi capita di vedere e ascoltare situazioni senza alcun senso. Video in diretta, comitive di 10-15 persone con maschere antigas, gruppi organizzati, persone che gridano, che parlano di continuo ad alta voce. Oggi mi è capitato di vedere un video in cui una coppia, vestita di rosso sgargiante (colore ideale per non dare nell’occhio), chiamava per nome persone morte in quella location 60 anni prima: loro dicono per evocare il fantasma.

Quando vado a fotografare un luogo abbandonato cerco di entrare sempre nel silenzio più assoluto, se siamo in 2 parliamo a gesti, vestito completamente di nero, con il nerofumo sotto gli occhi per mimetizzarmi meglio (adesso sto esagerando) e guanti neri (che dimentico sempre di indossare). Zaino mimetico ovviamente. Trovo fastidioso il rumore provocato dalla cerniera dello zaino. Faccio attenzione a non fare alcuni tipo di rumore, a non calpestare vetri e mi muovo come un ninja.

Ed ecco spiegato il motivo del nome di questa meravigliosa villa disabitata. Perché per entrare è necessario essere estremamente silenziosi, muovendosi con cautela, ma in modo deciso, seguendo un percorso prestabilito e senza dare nell’occhio. Magari scegliendo il momento e l’orario giusto. Poi quando sono entrato all’interno ho subito compreso di trovarmi in qualcosa che definire meraviglioso è riduttivo. E credo che le foto riescano a raccontare perfettamente questa meraviglia, anche senza troppe parole. Nella fretta (che mi accompagna sempre e in questo caso senza un motivo reale) ho dimenticato qualcosa e ho sbagliato un paio di foto. Nello studio e nel salone ho tagliato il lampadario e esagerato con il pavimento, la foto delle scarpe dall’alto è leggermente mossa. Sono errori di gioventù, che mi porto dietro da 20 anni. Ma si può migliorare, magari lasciando perdere la fretta che è sempre cattiva consigliera.

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Nelle viscere di San Gaudenzio
POSTED ON 18 Ago 2024 IN Landmark, Reportage     TAGS: church, monument

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Avevo promesso a me stesso che un giorno sarei riuscito a salire sulla Cupola di San Gaudenzio, a Novara. E’ sempre interessante visitare i capolavori dell’arte italiana e mi piace l’altezza: una combinazione perfetta per scoprire il genio di Alessandro Antonelli, artefice di uno dei più alti e arditi edifici in muratura del mondo: quasi 50 anni (1841-1887) di lavori e modifiche, contestazioni, problemi, per raggiungere i 126 metri di altezza definitivi.

C’è una piccola curiosità che voglio svelare. Kalatà, l’impresa culturale che si occupa dell’organizzazione delle visite alla Cupola di San Gaudenzio, ha la sede a Mondovì e gli uffici sono proprio nella meravigliosa Piazza Maggiore (a pochi metri dal mio studio fotografico). L’idea era di andare in ginocchio a supplicare un permesso speciale per poter utilizzare la macchina fotografica durante la visita, questo anche grazie a qualche amico di amici. Tutto era pronto per la richiesta quando, leggendo le regole di ingaggio della visita, ho scoperto che l’utilizzo della macchina fotografica è consentito se legata al collo; mi sono evitato la figuraccia per un pelo.

La visita sino ai 100 metri della guglia dura quasi 2 ore ed è estremamente interessante: la storia della costruzione è un racconto intrigante (bravissimi i ragazza di Kalatà) e gli stratagemmi messi in pratica da Antonelli per riuscire a portare a termine la sua opera sono quasi fantascienza. Purtroppo la visita è meno bella dal punto di vista fotografico, mi aspettavo qualcosa di diverso e invece, per quanto mi ero immaginato, sono rimasto deluso. L’uscita in esterno sulla terrazza è da paura, ma non è un’immagine che mi interessava. E purtroppo non è possibile fotografare la Cupola dall’alto, la visuale della parte artistica è coperta da un telo di protezione. Ho trovato comunque diversi spunti fotografici, il colonnato è qualcosa di fantastico e le simmetrie create da Alessandro Antonelli sono quasi surreali, ma molto fotogeniche. E anche questo piccolo sogno sono riuscito a realizzarlo, devo aggiornare la mia personale check-list!

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La tradizione del Bal Do Sabre
POSTED ON 11 Ago 2024 IN Reportage, Performing Arts     TAGS: EVENT, tradition

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Negli ultimi 18 anni la Strada Statale 28 del Col di Nava è diventata, per il sottoscritto, una sorta di via di fuga. Dalla Riviera dei Fiori a Beinette passando per Mondovì, varcando il confine Liguria-Piemonte: non ho mai pensato di contare quante volte, ma credo che 1000 possa essere un numero molto vicino alla realtà. In questo mio continuo viaggiare fra le province di Cuneo e Imperia devo giocoforza passare da Bagnasco e non è possibile fare a meno di notare il gigantesco affresco che si può osservare all’inizio del centro abitato: Bagnasco, il Paese del Bal Do Sabre. Non ho mai cercato di scoprire cosa fosse, mi segnavo mentalmente questa informazione in un cassetto della memoria, ma poi finiva lì. Qualche anno fa ho conosciuto un abitante del piccolo centro cebano, ho chiesto, e sono finalmente riuscito a soddisfare la mia curiosità.

Si tratta di una danza armata, eseguita dal gruppo folcloristico Bal do Sabre composto da 27 elementi in costume: 12 Danzatori muniti di sciabola, 5 Tamburini (1 rullante e 4 muti), 4 Mori (1 palo con la treccia), 2 Guardie, oltre ad Araldo, Giullare, Condannato e Portabandiera. La storia si tramanda nei secoli ed è stata ripresa dal gruppo, dopo un lungo periodo di pausa, nel 1968.

Il 21 luglio scorso in occasione di Bagnasco a Colori il gruppo è tornato ad esibirsi e non potevo mancare. Ho preso contatti con il sindaco e con il presidente dell’associazione Bal do Sabre e sono andato in paese diverse ore prima dell’inizio della manifestazione. Ho aspettato, ho assistito alla preparazione, fotografato il momento della vestizione con gli abiti tipici, osservato le prove e accompagnato il gruppo durante l’esibizione. Ho scattato quasi 500 foto e ho preparato un reportage di 99 immagini che sono la storia di quello che ho visto. Non è un racconto cronologico in senso stretto, ho preferito dividere in due parti distinte: la prima parte che descrive il momento più importante, cioè la danza in piazza, una seconda parte che invece parla dei preparativi e dell’attesa. Non è un portfolio e nemmeno un vero reportage (troppe foto): è semplicemente il mio personale regalo a Bagnasco e alla tradizione del Bal do Sabre. E spero sia un dono gradito.

18 Febbraio 1968. Il “Bal do Sabre” si esibisce a Garessio dopo tanti anni di inattività. Un gruppo di giovani, animato da passione ed entusiasmo, allestisce la tradizionale danza, grazie all’aiuto di Anziani Maestri che ancora ne ricordano i passi e le scene. E’ l’inizio di un percorso che vedrà il Bal do Sabre partecipare ad importanti manifestazioni a livello nazionale e, dal 1988 in poi, a molteplici Incontri Internazionali di Folclore in numerose città europee.

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