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Salotto a sorpresa
POSTED ON 29 Ott 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Dopo una bella esplorazione, stai per uscire e ti rendi conto che la casa vicino è anche abbandonato. Per curiosità si controlla, si butta un occhio, si verifica. Due piani, completamente vuoti e poco interessanti. Ma nell’ingresso una stanza, un salotto, a sorpresa. E rimani indeciso: apro lo zaino, tiro fuori il cavalletto e provo a cercare uno scatto interessante? Si, dai, c’è quella finestra controluce molto particolare, quei vasi strani, un po’ bizzarri. E sono quattro foto, forse banali, che forse non meriterebbero un articolo: ma l’urbex è bello anche per questo.

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Tra polvere e colori
POSTED ON 28 Ott 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Riuscire a capire la storia di una location urbex è sempre un gioco intrigante, una sfida che chiunque abbia a cuore il mondo dell’esplorazione urbana vuole portare a termine. Io definisco sempre l’urbex una tipologia di fotografia, ma non sfuggo al tentativo di comprendere e studiare il soggetto delle mie immagini. Quasi sempre questo studio si limita ai dettagli, il perché del luogo è solitamente una facile intuizione. Ma ci sono delle esplorazioni che possono diventare un difficile rompicapo e arrivare a capo della domanda fondamentale è impossibile.

E la domanda fondamentale è sempre perché? Fra queste pareti riuscire a dare un senso all’abbandono è impossibile. È tutto spalancato, il palazzo esternamente non presenta segni di cedimento strutturale, l’edera ha ricoperto la scala esterna ed è facile intuire che l’abbandono sia questione di pochi anni, viene da pensare subito al periodo immediatamente successivo al covid. All’interno si notano segni di lavori di ristrutturazione: una centrale termica mai utilizzata, componenti elettrici ed idraulici nuovi e di recente produzione, oggetti e strumenti di cantiere.

L’altra domanda è cosa? Appena entrato salgo le scale e raggiungo l’ultimo piano. Ho visto qualche foto e sono a conoscenza delle bellissime vetrate che danno luce all’ambiente, alla scala e alla parete con il dipinto; non mi sbagliavo, ma quello che vedo davanti ai miei occhi mi sorprende comunque. Le pareti hanno iniziato a sfaldarsi e l’intonaco sta scendendo sul pavimento. Non c’è quasi altro, le stanze sono vuote, la ristrutturazione si è fermata in fase embrionale e non ha toccato serramenti e infissi. C’è ancora una stanza, credo un salone, con delle strane colonne e affreschi moderni: probabilmente nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un luogo di rappresentanza. Mi avvicino all’uscita, nella prima stanza alla mia destra vedo una cucina come nuova e sulla parete il pannello di comando del sistema di allarme con ancora la pellicola trasparente sul display. Mentre esco dal cancello cerco di immaginare cosa sarebbe potuto essere, cosa sarebbe dovuto diventare. Ma nulla, nella mia fantasia cosa e perché rimangono un mistero. Mettete il like, suonate la campanellina e se avete info aggiuntive non esitate a scriverlo nei commenti.

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Cappella Armando Raggio
POSTED ON 23 Ott 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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Il giardino che la circonda è trascurato, pieno di arbusti, alberi, erbacce, foglie secche. Si nota subito che nessuno si prende cura di questa piccola cappella che, per le sue guglie, ricorda il Duomo di Milano. Siamo nella zona ovest a monte del cimitero di Staglieno. Il cancello è aperto, un piccolo sentiero in mezzo alla vegetazione porta all’interno di questo mausoleo che il commendatore Armando Raggio volle dedicare a sua moglie. Quando mi avvicino noto subito la bellezza e l’eleganza: una doppia scala e un bellissimo mosaico fanno intuire cosa mi aspetterà all’interno. Varcata la soglia di ingresso rimango allibito: il piccolo altare in marmo bianco è posizionato nel centro e rivolto verso l’altissima cupola, le meravigliose vetrate a mosaico fanno filtrare una luce intensa e colorata all’interno e, sul pavimento, sorprende il busto che ritrae Clara Caterina Felicita Dotto, moglie di Armando Raggio, mancata nel 1889 all’età di 33 anni. È tutto minimale, ma perfetto, curato in ogni dettaglio: è in stato di abbandono, la polvere ha preso il sopravvento, la porta è bloccata, le pareti sono rovinate, le decorazioni stanno scomparendo. Ultimamente si è parlato di restauro, nel 2020 alcuni volontari hanno pulito il giardino che circonda la cappella: ma non basta, è necessario fare di più per salvare questo piccolo gioiello dall’oblio.

Armando Raggio (1855 – 1918) insieme al fratello Edilio fondò la Società italiana di trasporti marittimi Raggio & C. per collegare l’Italia al Sud America sia per quanto riguardava le merci e i passeggeri. Armando Raggio morì improvvisamente il 15 maggio 1918. Il quotidiano Il Secolo XIX, scrisse di lui “Era una figura tipica di vecchio stampo, che aveva però seguito tutte le evoluzioni del tempo ed aveva partecipato a tutte le trasformazioni industriali con un largo spirito di vedute ed una prontezza straordinaria”.

La grandiosa cappella fu fatta erigere dal Commendatore Armando Raggio per accogliere le spoglie della moglie. Incaricato di elaborare il progetto fu l’architetto Luigi Rovelli, il quale ideò una cappella in stile gotico, adorna di guglie e di archi rampanti, ancora oggi soprannominata come Duomo di Milano per l’evidente somiglianza con la cattedrale ambrosiana. La cappella, la cui altezza dal livello della cripta supera i 28 metri, occupa una superficie totale di 35 metri quadrati ed è interamente rivestita in marmo: i Fratelli Repetto di Lavagna, che si occuparono della costruzione, impiegarono non meno di 150 tonnellate di marmo bianco lavorato per completarla. La magnificenza e la maestosità della cappella affascinarono i contemporanei i quali, ancor prima che fosse portata a termine, già l’annoveravano tra i monumenti di maggior pregio che, in quegli anni, iniziavano a popolare la nuova zona a monte del cimitero.

Rèquiem aetèrnam, dona eis, Domine, et lux perpètua lùceat eis. Requiéscant in pace. Amen.

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Il Museo dello Shangri-La
POSTED ON 20 Ott 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Il Museo del movimento ecologico Shangri-La è stata la location urbex del mese scorso. Non ho idea della quantità di visitatori che a Settembre (ma ancora oggi) hanno visitato quello che resta di questo affascinante museo, ma credo sia un numero molto alto; e il sottoscritto non poteva mancare. In via del tutto eccezionale ho scelto il pomeriggio di un giorno infrasettimanale proprio per evitare la ressa e sono stato fortunato in quanto non ho incontrato nessuno, doppia fortuna perché la giornata era discreta dal punto di vista metereologico e questo mi ha permesso di sfruttare una luce più piacevole e intrigante.

Al contrario del pensiero comune non sono rimasto affascinato dal museo. Colpito dalla quantità pazzesca di oggetti e dalla confusione sicuramente si, ma dal punto di vista fotografico è semplicemente una carrellata di dettagli, di particolari, di curiosità, di storia: tantissima roba che incuriosisce e lascia perplessi, ma che non ho trovato interessante. Sicuro è molto più adatta al video che permette di raccontare muovendosi da un oggetto all’altro in modo sequenziale, con la fotografia io non sono riuscito a rappresentare l’insieme (specialmente con il grandangolo) e non sono soddisfatto del racconto che ho costruito perchè mi sembra poco preciso e senza continuità; ma quasi certamente è stata una mia mancanza.

Quello che sorprende del museo è la sua ri-scoperta. Il suo creatore, Piero Benzi, ha fondato il movimento Shangri-La nel 1965 e nel corso degli anni ha creato la sua opera: è venuto a mancare nel 2014 e per 10 anni il museo è rimasto nel silenzio e nell’oblio, dimenticato da tutti. Poi all’improvviso il clamore, il ritorno in auge grazie, ma potrei dire anche per colpa, degli esploratori e fotografi del mondo urbex italiano e non solo italiano (nell’ultimo periodo sono arrivati da tutta Europa a visitare il museo): sembra incredibile, ma Shangri-La ha ottenuto più successo e pubblicità a 10 anni dalla sua chiusura che durante il periodo di apertura. È un mondo bizzarro.

Benzi negli anni ‘60 si votò a una missione ambientale: nel ‘65 fondò il Movimento ecologico Shangri-La e condusse varie proteste incatenandosi ai campanili e diffondendo volantini. Con la moglie girò il basso Piemonte, raccogliendo un’imponente collezione che costituiva il «Museo di attrezzi e oggetti vecchi e antichi dell’uomo». Si trattava di un migliaia e migliaia di pezzi – il proprietario parlava di 2.700.000 oggetti, fra radio, biciclette, giochi, ceramiche, scarpe, strumenti contadini – cui si aggiungevano installazioni dello stesso Benzi (per lo più oggetti con scritte sarcastiche): uno scenografico labirinto di spazi, tavoli, scaffali, capannoni che circonda l’abitazione. Il museo subì danneggiamenti per il maltempo e le frane, e denunce, aumentando il senso di accerchiamento del suo creatore. Alla sua morte lo spazio è stato chiuso e poi definitivamente abbandonato.

Nelle foto d’insieme ho utilizzato il 14mm su treppiede (e sono quasi tutte brutte e confuse), mentre per i dettagli il 24mm su APS-C, quasi sempre a tuttaapertura per riuscire a sfuocare lo sfondo, isolare il soggetto ed evitare la confusione (ammetto di odiare la confusione). Sono 93 foto, un numero notevole, anche se quasi tutti particolari e oggetti, ma erano talmente tanti e belli che ho faticato ad eliminare: e posso affermare con certezza di aver fotografo una minima parte del materiale presente fra i corridoi e le stanze del museo. Un occhio attento riuscirà a trovare curiosità e chicche di un certo livello. Buona visione.

Sono stato al Shangri-La e vengo al Shangri-La perché so di collaborare per una causa di utilità sociale

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The Neverending Story
POSTED ON 18 Ott 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Ci sono tutta una serie di comportamenti e reazioni del mondo urbex che trovo fastidiosi; ultimamente sono molto infastidito, probabilmente sto invecchiando male e divento noioso. Uno dei commenti che mi capita di leggere sempre più di frequente è quello dell’urbexer che si vanta di essere andato prima, ma tanto prima, in un posto: “Come l’hanno ridotta, quando sono andato io/siamo andati noi era bellissima”. Quasi sempre prima era molto meglio e se controllate questi commenti non sono mai opera di ricercatori veri, cioè di urbexer che scoprono veramente i posti, ma tendenzialmente di simpaticoni che sono nel mondo urbex da poco tempo e arrivano sempre grazie a dritte/consigli elargiti per pietà dopo aver chiesto supplicando in ginocchio un aiuto. Scherzando, in modo immaginario, vorrei rispondere di esserci entrato addirittura come ospite a cena (e in qualche manicomio sono stato ospite mentre ancora era attivo).

Per questo evito sempre questo tipo di commenti, perché non fanno parte del mio modo di pensare e perché ho sempre le foto a dimostrazione di come e perché. E soprattutto perché il mio giudizio non è mai legato al quando, non mi interessa, ma esclusivamente al come: e mi riferisco alla fotografia. Non mi ritengo un esploratore, io amo descrivere e fotografare e il focus, quello che mi muove, è sempre e solo la fotografia. Ultimamente avrei potuto visitare un luogo decisamente esclusivo, ma ho evitato perché non sarei riuscito a scattare foto di qualità.

Questi pensieri, non proprio tutti, mi sono passati per la testa quando sono entrato in questa meravigliosa villa che prima di me hanno definito The Neverending Story. Perché dalla prime incredibili foto che ho visto, oltre 3 anni fa, è completamente cambiata: ho stentato a riconoscerla. I meravigliosi arredi sono spariti, tutto quanto era in rigoroso ordine è stato spazzato via da un uragano, la Citroen Ami 8 rossa fiammante è stata portata via e la polvere e lo sporco hanno preso il sopravvento. Ma nonostante tutto devo ammettere che un certo fascino è rimasto intatto, mi sono immaginato anche io dentro il film, con la fantasia sono tornato bambino e mi sono sentito per qualche istante come Atreyu. Il nulla si puo distruggere dicono, ma non sono convinto.

Spesso vi abbiamo raccontato che il tempo sembra fermarsi quando varchiamo la soglia di una dimora abbandonata… ma alcune volte la sensazione va al di là di questo, e ci sentiamo catapultati all’interno di una storia, quasi quelle pareti volessero raccontare una favola mai scritta. Chi non ha visto la storia infinita? Ecco, questa volta la mente ci riporta bambini e ci sembra di entrare in quella tana nell’albero di Enghivuc e Urgula tra filtri e pozioni nel momento in cui schiudiamo l’uscio scricchiolante…

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La Villa del Socialista
POSTED ON 16 Ott 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Francesco Albertini nasce a Gravellona Toce il 30 dicembre 1906 e muore a Verbania il 17 dicembre 1996, avvocato e parlamentare socialista ha dedicato la sua vita a portare avanti i suoi ideali. Attivo antifascista nel 1943 è arrestato e incarcerato a Torino e da qui, nel febbraio 1944, è deportato a Mauthausen: dopo tre giorni di tradotta viene immatricolato con il numero 53347.

Classificato come Schutzhaftlinge (prigioniero per motivi di sicurezza), il deportato è trasferito dai nazisti al sottocampo di Gusen. Ma Albertini non cede e, nel Lager, entra a far parte dell’organizzazione internazionale di resistenza del sottocampo, dal quale sarà liberato il 5 maggio del 1945, con l’arrivo delle truppe americane.

Tornato in Italia inizia nuovamente a lottare per quegli ideali ai quali ha dedicato tutta la sua vita. Nelle prime consultazioni elettorali dopo la Liberazione l’avvocato Albertini viene eletto consigliere provinciale di Novara. Nel 1958 e nel 1963 è eletto deputato per il PSI. Nel 1963, nominato senatore, diventerà vice presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama; sarà anche deputato europeo e in tutti questi incarichi (farà anche parte come sottosegretario al Tesoro del 2° e 3° Governo Moro), Albertini si adopererà per proporre e far approvare leggi a favore degli ex deportati, che rappresenterà per tutta la sua lunga vita, come dirigente della loro associazione nazionale e le cui sofferenze, nel 1982, ricorderà nel saggio “Come e perché i Lager nazisti”.

La villa dove ha vissuto conserva ancora tantissime tracce della sua attività politica: nella biblioteca un gigantesco manifesto elettorale suggerisce di votare Albertini al senato. Ci sono oggetti, libri, ricordi, piccoli pezzi di storia dell’Italia del secolo scorso. Si prova un’emozione particolare a camminare in queste stanze: dall’ampio ingresso con volte a crociera e archi a sesto ribassato, alla splendida biblioteca, passando per la cucina, in totale disordine, che racconta una parte di vita del senatore. E poi la sala da pranzo, l’archivio con volta a vela, lo studio e un piccolo salottino con un meraviglioso soffitto affrescato ormai quasi completamente crollato.

Alla fine del secolo scorso la villa era stata ceduta al comune di Gravellona Toce; dopo un periodo di totale abbandono nel 2018 si è tornato a parlare di recupero e con spesa di circa 2 milioni di euro si disse che sarebbe diventata il fiore all’occhiello della città. Dopo l’importante ristrutturazione al suo interno dovrebbero trovare posto una sala polifunzionale, un’area museo, un punto di informazione turistica e un caffè letterario, con dehors, in grado di dare alla villa una funzione turistica e culturale. Quanti anni sono passati?

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