
Nel suo post Lorena ha limitato la descrizione a lucchetti e porte chiuse, io preferisco anche aggiungere vetrate perché è vero che il concetto di base di questa esplorazione è un altro (cioè il lucchetto che ci ha impedito di entrare), ma è anche importante evidenziare che le foto sono dedicate alle bellissime vetrate che si presentano lungo la scala che porta alla presunta villa abbandonata. Non sempre quando si trova un urbex (è un modo molto giovane di indicare i luoghi abbandonati) è possibile visitarlo: molte volte sono chiusi, sono proprietà privata ed esiste un proprietario che controlla: in poche parole non sono realmente abbandonati (anche se magari sembra). Nel caso si prende atto della situazione e si abbandona l’idea di infiltrarsi.
L’amore è come un lucchetto… devi trovare la chiave giusta.
– Myriam Filteau



Quando sono in giro mi capita (sovente e volentieri) di segnare posizioni interessanti con l’idea di tornare a controllare. Questa casa abbandonata era un pin che avevo inserito da tempo nella mia mappa personale; e quando ho visto le immagini e sono riuscito a collegarle alle coordinate ho pensato ad alta voce: “Ma focca la bindella“; avevo scoperto una location interessante e mi ero bruciato l’occasione di entrarci per primo. Che poi non è che sia questa meraviglia assoluta, ma presenta spunti -soprattutto fotografici- molto interessanti.
Ogni ragnatela ha un ragno in colpa.
– Alda Merini
Ci sono andato una prima volta l’anno scorso, poi sono tornato con alcuni amici francesi e nulla da fare: totalmente blindata e chiusa. Adesso ho scoperto che qualcuno ha pensato di renderla nuovamente fruibile al grande pubblico urbex: purtroppo il secondo piano è molto pericolante e l’esplorazione potrebbe riservare brutte sorprese. Mi raccomando fare molta attenzione e piedi di piombo (sempre in urbex)(è un modo di dire). Il nome è un omaggio ad Alda Merini (sempre nel cuore): l’ho pedissequamente copiato per dare universalità e perché la quantità di ragnatele in questa villa è talmente grande che almeno un riferimento era necessario; non c’è un angolo che non sia stato esplorato e controllato da un ragno.








» CONTINUA A LEGGERE «

Da tempo avevamo promesso ad Alice che saremmo andati a EuroDisney. E sinceramente ero molto curioso anche io, ma mi sembra normale. Quando siamo partiti qualche giorno per Parigi, il parco è stata ovviamente tappa obbligatoria. Non mi aspettavo di trovare una roba così incredibile: ho fatto un breve calcolo dei soldi che girano giornalmente intorno a EuroDisney e mi è venuto il mal di testa: tutto è enorme, gigantesco, colorato, bellissimo, emozionante. Lo spettacolo notturno con fuochi d’artificio e droni che si muovono nel cielo è una roba che non si può descrivere; è stata una giornata faticosa, ma bellissima.
Ovviamente ho portato con me la macchina fotografica con due obbiettivi: grandangolo e normale. Ho scattato un po’ a caso, quasi esclusivamente foto ricordo: non è agevole girare nel parco con zaino e attrezzatura. Ho scelto 19 foto che posso definire turistiche, nulla di eccezionale, non è un portfolio, non è un reportage: è una collezione di immagini che cercano di uscire un minimo dalla mediocrità del turista medio. E ci riescono solo in parte.





» CONTINUA A LEGGERE «

Villa Gemma è una perla storica, una di quelle ville intoccabili e devastate, ma che conservano statico il loro fascino nel tempo; non ha importanza quando, perché lei è quasi immutabile, l’importante è respirare la meraviglia che questa dimora storica lascia negli occhi di chiunque abbia l’onore di visitarla. Perché Villa Gemma è incredibile nonostante lo stato di avanzata decomposizione e un rischio di crollo sempre può elevato.
Ci sono stato di recente perché
volevo colmare un disagio, riempire un vuoto: è uno di quei luoghi che non puoi perdere e che quindi puoi concederti il lusso di rimandare. È sempre lì,
abbandonata e solitaria. Nessun pericolo, se non di trovarsi sotto le macerie, sempre a disposizione di chi voglia ammirarla. E ho colto l’occasione della sua celebrità irrevocabile per lanciarmi nel
dissing urbex. Per i boomer dell’ultima ora con il termine si intende, nel mondo rap, un testo utilizzato per criticare oppure disprezzare una persona
oppure un atteggiamento, nel mio caso ovviamente l’ambiente non è musicale, ma urbex/fotografico.
Mi sono divertito (su Facebook), anche se nel caso non tutti hanno compreso (ma fotte sega), a criticare un modus operandi che trovo molto fastidioso e decisamente infantile (che nemmeno all’asilo). Nel caso specifico mal sopporto chi tende ad atteggiarsi a campione/re/fenomeno e a vantarsi del niente: vi posso garantire che non avete inventato voi l’urbex. Nel rutilante mondo dell’esplorazione urbana esiste una corsa alla scoperta del posto esclusivo e quando si riesce a trovare qualcosa di particolare, e magari inesplorato, la brutta educazione (è un po’ di sano odio) insegna a vantarsi, pavoneggiarsi e magari insultare quella che risulta, in un certo senso, essere la concorrenza. Che poi concorrenza di cosa? Nemici perché? Nulla di più lontano dal mio modo di pensare: l’urbex è una passione, un divertimento, qualcosa da condividere, è fotografia, e quindi non riesco a capire questa smania di voler apparire il più bravo e il più scaltro a tutti costi. Io quando vedo foto in atteggiamento da poser e frasi irrispettose penso sempre “e sti cazzi”, ovviamente nell’accezione più romana possibile. Ma volersi bene e collaborare è così complicato?
Notti insonni su maps, tanti km macinati alla ricerca del vero abbandono e poi… finalmente individui la villa più esclusiva e rimani a bocca aperta nel vederla: forse addirittura sei il primo a scoprire un accesso. E poi trovi qualcosa di inaspettato e bellissimo.
Chi ha avuto la fortuna di poterla fotografare.
Chi la vedrà solo in cartolina.
Per tutti gli altri: Sucate (no, non è un paese della Brianza).









» CONTINUA A LEGGERE «

Devo ammettere che nell’ultimo periodo raramente sono rimasto deluso dalle mie fotografie. Ho sempre trovato errori e mancanze, ma comunque sono sempre riuscito a sbarcare il lunario per arrivare almeno alla risicata sufficienza. Questa volta no, riguardando le foto di questa bellissima cascina abbandonata mi sono accorto di aver sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare: tagli imprecisi, punti di ripresa assurdi e, soprattutto, un errato calcolo dell’esposizione e del contrasto. È vero che la giornata e l’orario non mi hanno favorito (metà pomeriggio di una delle giornate più lunghe dell’anno), ma avrei dovuto calcolare in modo più efficace l’esposizione e sottoesporre maggiormente. La luce che entra dalle finestre è bruciata, troppo forte, rende le foto difficili da osservare e mi ha costretto a un complicato lavoro in post.
Mi piace immaginare che questo letto sia un regalo alla coppia di sposi che una volta abitava questa dimora oramai abbandonata. Un letto speciale regalato da qualcuno che gli voleva bene e voleva che avessero un luogo unico dove amarsi.
Peccato perché questa esplorazione presentava diversi spunti interessanti, a cominciare dalla stanza più iconica e conosciuta: una camera da letto meravigliosa, con l’edera che arriva al centro della storia e conferisce un’anima verde, il colore principale del mondo, a tutto l’ambiente. Lorena ha immaginato un regalo di nozze, un piccolo paradiso dove perdersi e dimenticare la fatica, io sono meno poetico e ho preferito lamentarmi della luce troppo forte che entrava dalla finestra. Un giorno vorrei tornare, magari in inverno, non è così impossibile. Nebbia permettendo. :-)










» CONTINUA A LEGGERE «

Ci sono passato tante volte davanti percorrendo l’autostrada e tutte le volte iniziava il canto di guerra: “Calatrava Calatrava Calatrava”. Un ricordo di gioventù quando a Valencia ci fermammo ad ammirare il famoso Pont de l’Exposició opera del genio dell’architetto spagnolo. Eppure non ero mai riuscito a fermarmi per fotografare l’opera di uno dei grandi maestri dell’architettura mondiale. La zona è celebre proprio per essere interamente progettata da Santiago Calatrava e quando si entra a Reggio Emilia sembra di essere in un mondo decisamente futuristico.
La struttura che accoglie i viaggiatori è stata progettata dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava ed è parte integrante di un importante progetto che modifica radicalmente tutta l’area a nord della città, rendendola porta d’accesso principale e più prestigiosa. Insieme al sistema di ponti a vela che sovrastano l’autostrada del Sole, anch’essi progettati dall’architetto valenziano, e al nuovo casello autostradale, forma il nuovo complesso estetico e funzionale di Reggio Emilia. L’edificio è caratterizzato da un design futuristico che prevede la ripetizione, venticinque volte, di un modulo di lunghezza pari a 25,40 metri composto dalla successione di tredici differenti portali in acciaio, distanziati tra loro di circa un metro. Tale sequenza, lunga complessivamente 483 metri, genererebbe un effetto di movimento pari a quello di un’onda dinamica. L’originario primo progetto a vela è stato sostituito da quello a onda anche per meglio distinguere l’opera dai ponti; tuttavia l’intero progetto è ancora conosciuto con il nome non ufficiale di Le vele di Calatrava.
Quando sono arrivato ho subito percepito che qualcosa non funzionava: nessuna macchina nel parcheggio, niente treni, niente persone. Ho iniziato a fotografare nel silenzio più assoluto, quasi irreale, il caldo era tremendo. Sono salito nella zona dei treni (ma di treni manco l’ombra), ho fotografato il vuoto della stazione, ero sorpreso, mi guardavo intorno e non capivo: come in un film distopico di fantascienza. Mentre tranquillamente camminavo lungo la banchina spunta dal nulla un funzionario/operaio, mi ferma in modo perentorio e mi chiede il motivo della mia presenza. Io rispondo in modo semplice e lineare: “Scatto qualche foto”. Mi viene fatto gentilmente notare (non troppo gentilmente a dire il vero) che la stazione è chiusa per lavori di ripristino e che l’accesso è vietato: rispondo che sono entrato dalla porta principale spalancata e che non c’è nessun divieto di accesso, ma comunque mi allontano chiedendo scusa per la mia presenza. In effetti davanti all’entrata era presente un piccolo cartello che indicava il fermo della stazione nella settimana di ferragosto per manutenzione. In urbex ho ricevuto meno rimproveri. Comunque ringrazio perché, grazie a un colpo di fortuna insperato e insolito, ho fotografato la stazione deserta e non credo potrà succedere un’altra volta. Meglio così.










» CONTINUA A LEGGERE «