contatore gratis
Margarita: ricordi di estati lontane
POSTED ON 7 Nov 2008 IN Reportage

Margarita - 01

Nonno Migio aveva gli occhi azzurri come il cielo e i capelli candidi, tagliati a spazzola. Io e mio fratello, piccolissimi; uscendo da Casa con lui per mano facevamo lunghe passeggiate giù sino al torrente Brobbio, e Nonno ci diceva il nome di ogni foglia, frutto, erba, insetto che incontravamo. E poi camminavamo ancora sino alla Munia, la più antica cascina del paese, e Nonno raccontava che si chiamava così, Munia (Monaca), perché tantissimi anni prima era un convento. A ogni passo, chi ci incontrava diceva – con quella pronuncia chiusa e dura del dialetto, “Cerea, General” , e “ceréa” in margaritese vuol dire “buona sera”, ma mio fratello le prime volte domandava: “Nonno, ma perché ti dicono culéa?”. Nonna Teresita invece aveva i capelli lunghissimi, ne faceva due trecce che arrotolava attorno alla testa come una corona. E cucinava coi fiori; insalate di pomodori e primule, risotto alle violette, frittata di menta e di ortica… Mai capìto come facesse a raccogliere le ortiche a mani nude, senza mai farsi male. Ricordo le merende fatte con le micherisse appena sfornate e bollenti tagliate a metà e condite con una nocciola di burro che si scioglieva al calore della mollica. E l’acqua era più buona se bevuta alla fonte…non ricordo il nome… Ci si arrivava passando sotto la Torre e buttandosi giù da un sentierino pieno di more. E poi i “sucàr” (prununciati proprio così) di liquerizia comprati dal Tabaccaio, che allora non sapeva ancora che avrebbe avuto un giorno un nipotino speciale; le “marronite“, parallelepipedini di marmellata di castagne presi dalla Campana, che aveva il negozio di alimentari proprio sotto casa nostra… Perché da piccoli potevamo mangiare come buoi, senza ingrassare mai? E quei lunghi pomeriggi di settembre – un mese intero di campagna dopo due mesi di mare, come eravamo fortunati noi bimbi d’allora, eh? – passati a schizzare in bicicletta da via Bertone sino al tennis e ritorno, avanti e indrè avanti e indrè, ma che fatica quella salita al ritorno sino al Castello, schivando mandrie di mucche di razza margara, “bianche come perle“… Oppure avanti e indrè dalla parte opposta, sfrecciando davanti la chiesa e al campanile più alto della zona, arrivando davanti casa Sibilla e poi voltando a sinistra, circondati di campi di meliga e mais, passando davanti al piccolo cimitero e arrivando sino a Riforano… Un’avventura. Eravamo un gruppo di ragazzini inseparabili e più o meno coetanei, letteralmente cresciuti insieme dalla nascita ai 18 anni; io, mio fratello Guido, i tre cugini Mimi, Chicco e Ginetto; Massimo e Nunzio; le ragazzine si chiamavano Mirella, Antonella, Ornella. Tutte “ella”.

Margarita - 02Margarita - 03Margarita - 04

Davanti alla casa dei cugini, di fianco alla mia, c’era una panca di legno: serate interminabili trascorse lì, il primo che arrivava si sedeva, gli altri in piedi o in groppa alla bici, a parlare parlare parlare, con immensi ed improvvisi scoppi di stupidèra acuta e conseguente irrefrenabile ridarella. I nostri Grandi, Anna e Pippo-Generale Jr, Teresita, Vittorio e Laura, i genitori di Massimo e Nunzio, sempre insieme anche loro, anche loro a parlare parlare parlare seduti in giardino dentro casa, e la stupidéra e la ridarella loro si mescolava alla nostra. Poi siamo diventati grandi noi, e ci siamo persi come accade alle covate nei nidi. E quasi tutti quei nostri Grandi ora sono lì; uno, il Generale jr, è ancora nella Casa da dove uscivamo con Nonno. Gli altri dormono giù, insieme a Nonno e Nonna, verso Riforano, circondati da campi di meliga e mais.

Foto di/Photo by Samuele Silva – Parole di/Words by Mitì Vigliero.

La Venaria Reale
POSTED ON 26 Nov 2007 IN Landmark, Reportage

La Venaria Reale #04

Ieri pomeriggio ho fatto un salto (si, proprio un salto) a Venaria Reale. Ero curioso di ammirare da vicino la famosa Reggia, i Giardini e la mostra dedicata alla dinastia Savoia. Il biglietto costa 12 euro e sono soldi ben spesi. La reggia è davvero spettacolare ed enorme, alcune stanze (Galleria Grande e Maneggio su tutte) sono meravigliose. La mostra dedicata ai Savoia (davvero attuale in questi giorni) è interessante e raccoglie quadri e cimeli provenienti da ogni parte del mondo; la storia della dinastia sabauda è anche la storia d’Italia e merita un’analisi davvero attenta. Il pezzo forte della visita sono però i giardini che rendono la reggia di Venaria, come molti la definiscono, la Versailles italiana. C’è da perdersi. Tutto è curato nei minimi dettagli e le foto non rendono giustizia alla maestosità della struttura. Ogni metro nasconde una sorpresa, dal tronco di bronzo al giardino di nocciole; anche i bar sono belli. Ho bevuto un buonissimo vin brulè. E questa è la chiosa definitiva.

La Venaria Reale #01La Venaria Reale #02La Venaria Reale #03

La Venaria Reale #05La Venaria Reale #06La Venaria Reale #07

QuotaZero sull’Antola
POSTED ON 19 Nov 2007 IN Reportage     TAGS: trekking

Antola #01Antola #12

Ieri pomeriggio ho partecipato al secondo raduno di QuotaZero. Sono stato a diversi raduni ma questo è sicuramente quello ad altitudine più elevata: 1597 metri sul livello del mare; ci siamo infatti ritrovati, circa 100 persone, sulla cima del Monte Antola. Giornata splendida, sole meraviglioso e assenza totale di nuvole; non certo il massimo a livello fotografico ma comunque ottimo per una escursione in montagna. Del raduno ho apprezzato soprattutto due cose: l’età dei partecipanti, davvero bassa per una escursione di montagna, e la presenza di donne, davvero alta per una escursione di montagna.

Antola #02Antola #03Antola #04

Antola #06Antola #08

Per l’assalto all’Antola abbiamo deciso di partire dal paese di Pentema; per arrivare in quota abbiamo attraversato Busalla (niente sosta alla Fabbrica della Birra purtroppo) e Montoggio. Temperatura ampiamente sotto lo zero e brina sul bordo della strada: freddo clamoroso. Partiti da Pentema abbiamo subito sbagliato strada, splendido, e per uscire dai roveti ci siamo visti costretti a disboscare un’ampia zona di macchia mediterranea. Dopo le difficoltà iniziali la strada è diventata ripida ma agevole; lungo l’aspra erta sono passato dal doppio pile con giacca da neve alla maglietta manica corta e viceversa almeno un paio di volte. Caldo, freddo, poi di nuovo caldo, ombra e quindi freddo, di nuovo caldo: un tormento. Nonostante le premesse siamo arrivati facile in vetta e qui abbiamo trovato diverse decine di persone. Cose mai viste. Spumante, spille, magliette, telecamere. Abbiamo conosciuto e parlato con tanta gente; molto divertente il dialogo fra i forumisti: Ma tu che nick sei?

Antola #09Antola #13

Antola #11Antola #10Antola #05

I più attenti si saranno accorti del soggetto protagonista di questo racconto: la prima persona plurale. Ebbene si, mi sono riunito agli amici del gruppo AdessoSpiana.it. Dopo le foto in cima all’Antola siamo scesi al rifugio per goderci il sole e riposare le nostre stanche membra. La terrazza interamente in legno è qualcosa di spettacolare, sole sino al tramonto e panorama mozzafiato. La discesa è stata meno agevole del previsto; mediamente ritengo il ritorno sempre più difficile dell’andata e questo caso, complice la stanchezza, non ha fatto eccezione. L’ultimo tratto era davvero ripido e le mie ginocchia hanno faticato più del consentito; ma noi “scalatori” preferiamo ritenere la discesa troppo facile e adatta a chi non ama la fatica. Un modo come un altro per nascondere la paura di ruzzolare a valle senza freni. Sono arrivato alla macchina decisamente stanco; soddisfatto anche. Una giornata particolare e intensa, assolutamente da ripetere. Magari con la neve.

Antola #14Antola #15Antola #07

Parcheggio oppure Discarica?
POSTED ON 11 Nov 2007 IN Reportage

Discarica #01

A Imperia c’è un posto davvero particolare. Ci troviamo ad Oneglia, a due passi dal centro, circa 500 metri da Piazza Dante: il cuore nevralgico e commerciale della città. E’ un parcheggio, almeno sembra. Posso tranquillamente affermare che molti imperiesi, sottoscritto compreso, lasciano qui la macchina per andare a lavorare oppure per un salto sotto i portici. A Sud c’è il mare, ad Ovest il cantiere del nuovo porto, a Est le famose ciminiere e a Nord quella che gli abitanti del luogo definiscono, fra il serio e il faceto, SUPERSTRADA: in realtà è un corso che in una qualsiasi grande città verrebbe definito vicolo, o quasi. Questo parcheggio è cintato con il filo spinato e diversi cartelli “PROPRIETA’ PRIVATA” sanciscono il divieto di accesso; peccato però che il cancello sia spalancato. Dentro troviamo un po’ di tutto: bottiglie, vetri, spazzatura, macchine parcheggiate, gomme, macchine distrutte, con targa e senza targa. A due passi dal centro è davvero uno schifo. Le domande sono: di chi è questo parcheggio? Perché il cancello è spalancato? Se all’interno succedesse qualcosa di spiacevole di chi sarebbe la colpa? Perché viene utilizzata come discarica? Ai posteri l’ardua sentenza…

Discarica #02Discarica #03

Discarica #04Discarica #05Discarica #06

Uno spettacolo chiamato Maratona
POSTED ON 2 Ott 2007 IN Reportage     TAGS: Toro

Alè ToroStriscione

Le polemiche dedicate al gol irregolare di Trezeguet hanno spostato l’attenzione della stampa e della televisione. Lo spettacolo maggiore allo stadio Olimpico di Torino non l’hanno fornito nè Recoba nè Del Piero (forse Rocchi), ma bensì i tifosi del Toro con una coreografia spettacolare che ha lasciato senza parole tutti i 22 giocatori in campo e non solo. L’impatto scenico è stato qualcosa di magistrale e incredibile: da brividi. Solo chi era allo stadio (purtroppo pochi, stadio di merda!) può aver apprezzato la magia che si è venuta a creare in quei momenti. Io sono rimasto impietrito, estasiato. Bellissimo, meglio di un gol di Rosina.

La diga del Vajont
POSTED ON 1 Set 2007 IN Reportage     TAGS: History

Vajont - 02Vajont - 01

La diga del Vajont è uno di quei luoghi che restano impressi nella memoria. Lei è li, alta, splendida, un capolavoro di tecnica. Ha assistito, suo malgrado, a una delle tragedie più grandi degli ultimi 50 anni. Quando la osservi rimani come di sasso: non è bella, è solo grande, gigantesca. E’ un simbolo e come tale fa riflettere, fa pensare: simboleggia l’avidità, l’avidità di denaro. Il denaro sopra ogni cosa, superiore al pericolo, più forte della paura. E si spera che questo monumento incolpevole rimanga ancora tanti anni al suo posto, per ricordare. La si definisce tragedia del Vajont, ma il Vajont è l’unico non colpevole. Ci sono passato un paio di settimane fa, volevo vederla, volevo rendermi conto della maestosità. A distanza di quasi 44 anni fa ancora paura: è diventata quasi un’attrazione turistica, ma i turisti rimangono in silenzio, sono tristi. Sono poche le cose che il tempo non cancella: il dolore di questa valle è una di queste.

Prima il fragore dell’onda
Poi il silenzio della morte
Mai l’oblio della memoria