
Il Carnevale di Mondovì è certamente il più importante del Piemonte. Ed in effetti l’organizzazione che accompagna il Carlevè ‘d Mondvì (come viene definito da tutti) è di altissimo livello: gli eventi si susseguono, c’è una tradizione importante ed il programma è sempre molto ricco e variegato. Il punto forte è ovviamente la sfilata e dopo tanti anni sono finalmente riuscito a fotografare i carri e le maschere che animano il carnevale. Ho preferito puntare sulle persone perché sono loro, con la loro voglia di divertirsi e divertire, che riescono ad esaltare e rendere unico un evento di questa portata.


Mi sono piazzato sotto il palco, ho inseguito il corteo, ho preso una quantità di coriandoli infinita. Sono stato abbracciato e baciato (da un uomo). Ho scattato almeno duecento foto a richiesta e altrettante sfuocate. Mi sono divertito, è stato un bellissimo carnevale. Sempre in prima linea. Alla fine ho scelto nove immagini: c’è la ragazza con gli occhiali che non si è fermata un secondo di ballare, c’è la bambina dagli occhi azzurri, il Babbo Natale gigante, la fidanzata del Barone Rosso (!), un bellissimo Apetto e, visto che la sfilata si è tenuta il giorno di San Valentino, ho inserito anche la coppia di innamorati. In totale ho scattato quasi mille foto, sceglierne solo nove non è stato facile ma la selezione è sempre necessaria.



Alla sfilata ha partecipato, decisamente numeroso, il gruppo di Beinette (che poi è il paese dove abito io). Il tema era ‘Il Natale non finisce mai‘. Erano tutti vestiti da Babbo Natale (ma anche da Abete e da Befana) ed erano bellissimi, rossi e decisi a fare festa. Ho scelto di salvare 41 foto e le trovate qui (file zip da scaricare): spero di essere riuscito a fotografare tutti.



Carnevale è innanzitutto passione. Al giorno d’oggi mettere in piedi una manifestazione come il Carlevé ‘d Mondvì non è uno scherzo: ci vuole impegno, è necessario lavorare – e molto – sia per chi sta dietro le quinte che per chi va in scena in maschera, rappresentando la nostra città. È solo grazie all’impegno di tante persone che il Carlevé può avere successo: uomini e donne che mettono a disposizione la loro generosità, il loro tempo e le loro competenze per trasmettere passione e per regalare al pubblico un evento all’altezza.
![Playground [Ex-Salesiani]](https://www.samuelesilva.net/blog/wp-content/uploads/2016/02/playground.jpg)
Il 27 Gennaio su La Stampa è uscito un interessante articolo sull’ex collegio salesiano a Madonna dei Boschi di Peveragno. Un ecomostro come viene definito. In effetti la struttura è parecchio brutta (uso un eufemismo), costruita con il gusto orrendo e squadrato tipico degli anni sessanta e soprattutto è in rovina da ormai oltre trent’anni. Data la mia folle voglia di Urbex non ho resistito alla tentazione di un giro di perlustrazione. Arrivarci è stato abbastanza semplice: si parcheggia la macchina in località Madonna dei Boschi, si segue il sentiero e ci si trova davanti al gigante di cemento. E’ enorme. Da fuori è davvero impressionante. Il primo impatto è da paura: si arriva in quello che era una sorta di campo da basket, una specie di playground americano. Di intero non c’è più niente, i graffiti sui muri (anche volgari) sono ovunque. Il bagno esterno (uno dei tanti disseminati lungo la struttura) è devastato, i sanitari sono tutti spaccati, per terra si trova un po’ tutto: probabilmente per le razzie degli anni successivi alla chiusura (sulla stampa di parla di 1981 ma negli uffici ho trovato fatture e calendari del 1987).

![Pommel Horse [Ex-Salesiani]](https://www.samuelesilva.net/blog/wp-content/uploads/2016/02/pommelhorse-1024x768.jpg)
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La tonnara di Favignana è stata una delle più belle sorprese della nostra vacanza in Sicilia. Siamo andati sull’isola con la speranza di visitare le bellissime spiagge di cui tutti dicono meraviglie. Ma il clima, sempre splendido sino a quel giorno, ci ha giocato un brutto scherzo: appena scesi dal traghetto abbiamo capito che la pioggia avrebbe stravolto i nostri piani. E cosa fare a Favignana quando il sole non è tuo amico? Semplice, si visita la famosissima tonnara. La storia di questo ex-stabilimento è decisamente interessante e racconta un pezzo d’Italia ormai dimenticato. La nostra guida ci ha spiegato tutta la storia della famiglia Florio (anche il gossip più torbido) e di come il Tonno veniva pescato, pulito ed inscatolato (e le scatolette di tonno erano un po’ diverse da quelle dei nostri giorni). Abbiamo ascoltato la storia del Rais, imparato termini nuovi come lattume, muciare e rafaggio e soprattutto abbiamo capito come poteva essere terribile e cruenta la mattanza. Non sono riuscito a fotografare come avrei voluto il panorama dell’isola ma al termine della giornata non ero così dispiaciuto. Se passate da Favignana non fatevi mancare una visita all’Ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica. Merita davvero.



La Tonnara di Favignana, ufficialmente denominata Ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica, è una antica tonnara, con annesso stabilimento per la conservazione del pescato, sita a Favignana nelle isole Egadi. Con i suoi 32 mila metri quadri, di cui 3/4 coperti, è una delle più grandi tonnare del Mediterraneo.

Correva l’anno 2005. Con l’amico Andrea Balconi decidemmo di scrivere un piccolo racconto fotografico di Cervo, splendido borgo medioevale a poca distanza da Imperia. Lui aveva già scattato diverse immagini in bianco & nero, io aggiunsi qualche scatto a colori. Poche righe di HTML e il minisito era pronto per essere pubblicato nelle pagine di Photographers.it, portale dedicato al mondo della fotografia. Nell’ultimo periodo, complici diversi aggiornamenti del sito, sembra che la nostra storia sia sparita e quindi mi permetto di pubblicarla (almeno la mia parte) anche sulle pagine del mio blog. Ho ripreso (e ritoccato in modo leggermente diverso) le stesse immagini pubblicate all’epoca e che scattai durante una breve escursione: in totale quel giorno sulla mia scheda rimasero 50 foto. Davvero poche. Utilizzavo la Canon EOS 20D con il 18-55 da kit (un brivido mi corre lungo la schiena). Scusate la scarsa qualità di testo e foto: ero giovane. Ma credo che tornerò a Cervo molto presto. Devo riprovare. :-)


Appoggiato al muretto della piazza della Chiesa guardo il mare. Mi affascina, mi strega, mi lascia sempre senza fiato. Cervo è una piccola perla appoggiata sopra il mar Ligure, i suoi caruggi profumano di storia, una storia antica, da assaporare passeggiando lentamente, ammirando i portoni, i decori, gli archi, i vicoli, le scale. Mi piace tornare qui, sembra sempre di entrare in una favola, una favola dove splende sempre il sole. Non si riesce a spiegare, non si riesce a descrivere: bisogna viverla questa magia.





Un pò più in alto rispetto alla piazza del paese, accanto alla chiesa, in cima alla salita, ecco il Castello di Beinette. L’accesso, da sempre proibito, avvolgeva il castello in un alone di mistero: fin da bambina mi ero chiesta come fosse all’interno e chi lo abitasse. Fantasmi? Pipistrelli? Vampiri? No, in realtà intorno alla seconda metà del 1800 era stata la residenza estiva dei marchesi di Rudinì, che venivano in Piemonte con la figlia Alessandra e il suo cagnolino Chatain (come racconta il libro ‘Alessandra di Rudinì’ di Gigi Moncalvo). Una ragazza disinibita lei, che era stata sorpresa a cavalcare nuda nel parco del castello e che aveva ospitato proprio qui il suo amato Gabriele D’Annunzio. Ma forse questa è solo una leggenda. Come quell’altra che narra che nei sotterranei del castello ci fosse l’accesso a un tunnel segreto, lungo chilometri, usato come via di fuga, verso la Certosa di Pesio, in tempo di guerra. È così che, guardando il castello, seppure ormai fatiscente, la mia fantasia aveva galoppato per anni. Poi sabato scorso, grazie ad un amico, ho avuto la possibilità di visitarlo. Intanto va precisato che l’ingresso principale dà sul cortile della cartiera e non in cima alla salita della chiesa come molti pensano. L’ottantenne sig. Castellino, proprietario dell’immobile da circa 30 anni, ci ha aperto il castello e la seconda porta, decorata di vetri colorati a piombo, benché non del tutto intatta, ci ha comunque sorpresi.





Le sale del castello sono ampie e le finestre, ormai divelte, le rendono particolarmente luminose. Ognuna è provvista di un camino a legna: i soffitti sono molto alti e immagino non fosse semplice riscaldare quelle stanze. Alcune volte si sono conservate e si possono notare rosoni e stemmi di chissà quale famiglia nobile, ma anche soffitti a cassettoni di legno. I pavimenti variano dai parquet, quasi completamente intatti ed in ottime condizioni, alle piastrelle quadrate di cotto. C’è da dire che negli anni il Castello è stato più volte saccheggiato per cui si nota la mancanza di piastrelle, porte, lampadari e addirittura di una cassaforte!





Al piano seminterrato, dove erano allocate le cucine, c’è ancora un pozzo, che secondo i racconti sul castello, sarebbe diventato la tomba di due soldati tedeschi, che anziché essere catturati e trucidati preferirono la morte per annegamento. Da fuori non si nota, ma due piani di un’ala del castello sono crollati pertanto è meglio non inoltrarsi di nascosto per curiosare perché, oltre ad essere illegale, potrebbe rivelarsi estremamente pericoloso. Penso a quei ragazzini che sono entrati senza conoscere le zone in sicurezza e hanno imbrattato i muri con graffiti di rara bruttezza: oltre a danneggiare un monumento, già decadente, avrebbero potuto anche farsi del male!


La torre del castello si raggiunge grazie a una scala a chiocciola. Di lì, a 26 metri di altezza, il panorama ripaga la visita: si vedono tutto il centro di Beinette e le campagne, fino al campanile di Margarita! Il tetto, con il consenso della Soprintendenza alle Belle Arti, è stato ristrutturato dalla proprietà circa 8 anni fa: un pilastro portante regge le nuove travi; il tetto è stato isolato con materiali moderni, ma esternamente sono stati riutilizzati i coppi storici. Da allora la gru sembra voler vivere in simbiosi con il Castello! Da fonti attendibili ho appreso che tuttora l’amministrazione comunale sta vagliando, insieme ai proprietari, quale potrebbe essere la destinazione d’uso della residenza. Si punta a un impiego di pubblica utilità che di certo soddisferebbe le aspettative dei beinettesi. Ora non resta che trovare i fondi per mettersi all’opera!





Il testo di questo racconto è di Michela Agnese, le immagini, ovviamente, sono del sottoscritto. Non avevo mai pubblicato così tante foto in un post, ma ho voluto permettermi un’eccezione vista l’importanza del Castello. Per questo reportage ho utilizzato due obbiettivi: il 50 fisso per una documentazione il più reale possibile ed il 16-35 per riuscire a cogliere tutti gli angoli del castello. Ho preferito evitare le panoramiche, anche se suggestive, perché volevo concentrare l’attenzione sugli interni, sulla storia e sulle condizioni attuali della residenza dei marchesi di Rudinì. Purtroppo le notizie in rete non sono molte, anzi, sono praticamente nulle ed è difficile ricostruire la storia del castello in modo storicamente preciso; spero in futuro di riuscire ad ottenere informazioni maggiori: magari con un’anacronistica visita in biblioteca. :-)

Questo è un articolo che ho scritto nel 2004, in epoca pre-blog, per il sito photographers.it. E’ un reportage, la storia di una partita di calcio di provincia vista dalla parte della tifoseria di casa. I toni sono un po’ epici e sicuramente eccessivi ma l’idea di fondo era proprio quella dell’esaltazione. Sono foto scattate con la storica Canon EOS 300D e con il 28-135 che solo a pensarci adesso mi vengono i brividi; diciamo che con il tempo mi sono un po’ imborghesito. La qualità è pessima (nella pubblicazione originale le immagini erano molto piccole) però mi dispiaceva perdere questa memoria storica e quindi ho deciso di riproporla a distanza di 12 anni (un’eternità). E’ come scrivere una pagina di un diario andando a ritroso nel tempo, è un esercizio di memoria, di ricordi. Ho leggermente modificato il testo e migliorato, per quanto possibile, le foto. Perdonatemi.


Questo piccolo percorso, questa breve storia, sono dedicati ad un giorno particolare: al giorno in cui la tifoseria di una squadra di calcio di provincia ha dimostrato ancora una volta di essere grande, al giorno in cui ha dimostrato a tutti che la passione non ha spiegazione, ma soprattutto sono dedicati al giorno della vittoria perfetta. Forse i Samurai Ultras Imperia non hanno bisogno di essere incensati, ma permettetemi lo stesso di farlo: perché è giusto, perché è vero, perché solo chi sa cos’è la passione può capirlo.



Tutto è pronto, ci si vede due ore prima della partita nell’antistadio. Subito problemi con la polizia. Ma dopo mille perquisizioni, fra le proteste, entrano gli striscioni ed i fumogeni. La Curva Nord è stracolma, tutti insieme. Con un solo ed unico obbiettivo: spingere la palla in rete!!! La partita entra nel vivo, il coro “IMPERIA!!! IMPERIA!!!” è incessante. Le bandiere e le sciarpe sventolano, alcuni tifosi non guardano nemmeno la partita. Al coro “TUTTA LA CURVA” sembra che anche le transenne e i gradoni della NORD partecipino al grido di battaglia.


Fra un canto e quello successivo non c’è un attimo di sosta e tutti, ma proprio tutti, cercano di spingere “i ragazzi” verso la porta avversaria. Il tifo e la passione dei supporters nerazzurri coinvolgono anche i giocatori in campo che cercano di interpretare al meglio lo spirito dei proprio tifosi. IMPERIA!!! IMPERIA!!! IMPERIA!!! Lo stadio Nino Ciccione sembra esplodere. Dopo una dura battaglia la partita volge al termine, si alzano i vessilli, si sventolano le bandiere, si festeggia, ci si abbraccia. Perché? Perché l’Imperia ha vinto, ma del resto, con un tifo così potevano esserci dubbi???

