








Da tanto, troppo tempo, sento parlare di prospettiva e foto storte, ormai è un classico, e purtroppo quasi sempre si parte da presupposti errati. Cosa è giusto e cosa è sbagliato? E’ sempre difficile da comprendere. Purtroppo la fotografia è materia complicata e l’occhio umano ancora di più. Ho quindi deciso di fare un breve recap, soprattutto per me stesso, per spiegarmi e ricordare al meglio il discorso di prospettiva e per farlo farò riferimento ad uno dei più grandi fotografi del secolo scorso: Andreas Feininger, e al suo libro più conosciuto ovvero L’occhio del fotografo (Milano, Garzanti, 1976). Feininger divide la prospettiva in 4 grandi categorie: rettilinea accademica, rettilinea reale, cilindrica e sferica. Le ultime due interessano poco il discorso storto/dritto che voglio affrontare, ma l’ultima, la sferica, è quella che si ottiene con il fish-eye e in alcuni rari casi è forse la migliore che possiamo scegliere (soggettivo). La rettilinea accademica è quella che si ottiene con gli obbiettivi decentrabili (tilt & shift), con la macchina perfettamente in linea con il terreno oppure in post-produzione ed è quella che abitualmente vediamo nelle riviste di architettura. Un esempio importante di accademica è quello fornito da Berndt e Hilla Becker nella loro mastodontica e decennale opera, culminata nel celebre: Anonyme Skulpturen: Eine Typologie technischer Bauten. Vabbeh: sculture anonime. Sono una quantità industriale (è una mezza battuta per chi la capisce) di fotografie di architettura, tutte molto simili (ma costruite di proposito con il banco ottico). La rettilinea reale (e già il nome dovrebbe dare indicazioni) è quella invece in cui le linee verticali sono lasciate inclinate. Può sembrare strano, ma è questa che ricorda maggiormente la verità (se così possiamo definirla) anche se sono tutte comunque artificiali perché il nostro occhio vede in 3 dimensioni (contrariamente alla fotografia come la conosciamo che si sviluppa in 2 dimensioni) e quindi reale è un modo di dire (come mi piace definire la realtà, anche se dopo mi sento molto Morpheus). Quando le linee invece corrono in orizzontale verso un solo punto di fuga, ed è un fenomeno molto frequente in fotografia, il nostro occhio non è infastidito perché è abituato a questo tipo di distorsione. L’esempio classico è nelle rotaie di una ferrovia che puntano verso il centro del fotogramma, ma che nessuno si è mai sognato di raddrizzare. Quindi la prospettiva accademica che troviamo nella stragrande maggioranza dei libri e delle riviste di architettura è una forzatura rispetto alla percezione che abbiamo perché mette a 90 gradi le linee verticali rispetto al terreno. Feininger definisce la prospettiva accademica (utilizzata anche dal grande Gabriele Basilico) come una menzogna positiva perché l’immagine che risulta raddrizzando le linee verticali che guardano verso un punto di fuga (classicamente la foto del palazzo scattata inclinando l’obbiettivo verso l’alto) sembra più vera al nostro occhio, anche se in realtà quelle linee diagonali sono una normale rappresentazione della prospettiva. Noi viviamo in una società che viene definita ortogonale e siamo profondamente condizionati dalle linee perpendicolari e dagli angoli retti che ci circondano: è il nostro cervello che interpreta in questo modo le informazioni che arrivano dalla retina. In fotografia la scelta della prospettiva che vogliamo utilizzare è quasi sempre soggettiva e dipende esclusivamente da cosa vuole rappresentare il fotografo. Non esiste un concetto di storto oppure dritto in questo tipo di immagini, se vogliamo essere divulgativi è lampante che la prospettiva accademica sia la migliore (e la più usata in quel contesto), ma se non abbiamo la necessità della divulgazione tecnico/scientifica qualsiasi tipo di prospettiva può essere adatta, anche quella sferica, e molto dipende dal tipo di soggetto che abbiamo di fronte. Nella fotografia, che potrei definire artistica oppure anche emozionale, come può essere la fotografia urbex, l’idea è quella di rappresentare lo spazio, la sensazione, l’idea, il romanticismo e non è detto che l’approccio analitico/razionale che ci impone il cervello sia il migliore, anzi, talvolta è troppo piatto e lineare per mostrare il fascino di certi ambienti. Il discorso è molto complicato per certi versi e non riguarda solo la fotografia e l’architettura, ma si dipana nella la mente umana e nel nostro modo in interpretare il mondo attraverso occhi e cervello. Ma è tutta un’altra storia. L’importante è comprendere che ognuno può scegliere di fotografare come preferisce, ma non deve criticare/denigrare le foto degli altri in base a visioni geometriche assolutamente personali, perché il concetto di storto, in fotografia, è sempre e solo soggettivo.
Ogni buona fotografia è una sintesi ben riuscita di tecnica e arte
– Andreas Feininger

Sul web impazza la #dollypartonchallenge, la sfida lanciata dalla 74enne attrice e cantante americana che reinventa il classico avatar: consiste in pratica in una serie di quattro fotografie accompagnate da una didascalia con il nome di un social network: Linkedin, Facebook, Instagram e Tinder. E chi sono io per sfuggire a questa nuova e fondamentale moda? E quindi ecco a Voi la mia personale interpretazione. :-)
Il senso è che le quattro fotografie ritraggono il soggetto in pose e atteggiamenti molto diversi, con qualche affinità al social network alla quale sono associati: quella di Linkedin – un social network usato per trovare lavoro – seria e formale, quella di Facebook amichevole e allegra, quella di Instagram festaiola oppure un po’ artistica, e quella di Tinder – un’app per incontri – ammiccante.

Questa terribile foto non è nemmeno didascalica. E brutta, punto. Ha una sola caratteristica che la rende pubblicabile su queste pagine: è stata scattata con il nuovo RF 15-35 F/2.8 L IS USM durante le riprese del video dedicato alle ottiche RF girato con l’amico Stefano Tealdi. Ovviamente davanti alla fotocamera sono una catastrofe (anche dietro in realtà), ma credo di essermela cavata decentemente: almeno si capisce quello che dico (è stato un duro lavoro di concentrazione). Le foto della giornata sono penose, ma l’emozione gioca brutti scherzi (era comunque difficile riuscire a scattare qualcosa di artistico); per non farmi mancare nulla ho anche commesso un paio di errori imperdonabili e ripetuto circa 10 volte gli stessi concetti. Se proprio volete ammirarmi in video non Vi resta che cliccare sulle immagini qui sotto. Buona visione.



Tutti Fotografi è uno storico mensile dedicato alla fotografia, forse il più noto e diffuso in Italia. Prima del digitale (e di internet) cercava di divulgare il verbo fotografico in modo che tutti potessero diventare abili fotografi. Non è merito loro, ma credo che l’obbiettivo sia, in parte, prossimo alla realizzazione; dico in parte perchè tutti fotografi si, ma abili direi proprio di no. E questa è una discriminante importante. Si, perchè ormai è diventata un’esasperazione continua che raggiunge il proprio Nirvana durante i concerti dal vivo. Nel suo ultimo tour Marco Mengoni fa spegnere le luci sul palco e chiede al pubblico di posare i cellulari per ascoltare la musica, dal vivo, in modo reale, tangibile. E’ diventato uno show infinito. Due settimane fa ho visto (finalmente) il concerto di Cristina D’Avena, a Cuneo Comics: davanti a me tutti con le braccia alzate per fotografare/registrare. Il tipo al mio fianco condivideva in tempo reale con i suoi contatti su Whattsapp, praticamente ha pagato il biglietto per potersi vantare con gli amici: io ci sono (che poi stiamo parlando sempre di Cristina D’Avena, manco fosse la reunion dei Led Zeppelin). Quello che infastidisce il sottoscritto non è la voglia di condividere, ormai è un dato di fatto, ma la qualità della condivisione: è un problema mio e probabilmente è colpa del tono di superiorità che cerco di darmi, ma a vedere certe immagini mi si inniettano di sangue gli occhi; capisco che viviamo dentro un gigantesco social network, la vita, ma diamine un minimo di estetica è necessario. La cultura del bello è ormai sparita, frantumanta dalla condivisione, esiste solo l’essere: è nella stragrande maggioranza dei casi è anche falsato e modificato. Io credo che tornare indietro non si possa, il mondo va avanti, la tecnologia è sempre più evoluta e la curva è diventata esponenziale; ma dovremmo studiare, osservare, guardare, imparare, conoscere. Abbassare il braccio e goderci il momento, come Sean Penn. Perchè è vero che il mondo progredisce, è vero che si va avanti: ma è fondamentale crescere e migliorare. Altrimenti restiamo CAPRE.








Questa intervista al sottoscritto arriva dal passato: è datata 6 maggio 2008. Praticamente la preistoria. E’ tratta dal sito Dentro Al Replay dell’amico e fotografo Libero Api. Rileggendola a distanza di anni mi fa quasi ridere: cambierei buona parte delle risposte. Eppure all’epoca ero così: decisamente imbecille. Forse lo sono ancora. Le foto in alto sono quelle che furono pubblicate (non tutte) in calce all’articolo, alcune terribili, altre decenti. Sono migliorato, di tanto, e questo è il miglior complimento che il tempo mi può regalare. Le due foto che cito nell’intervista sono rispettivamente questa e questa.
Samuele Silva: chi è?
Domanda tremendamente complessa e difficile. Appeno lo scopro te lo dico.
Quando hai iniziato?
Ho iniziato a metà anni 90, provando una Zenit 22 Russa. In realtà la fotografia è sempre stata presente nella mia vita: mio nonno era fotografo dell’esercito italiano nella guerra d’Africa. Mio padre scattava tantissime foto che poi sviluppava personalmente in una piccola camera oscura casalinga. La passione doveva solo germogliare.
Quale genere ti piace maggiormente fotografare?
Fotografo un po’ di tutto, ma sicuramente il mio genere preferito è quello umano. Uomini, donne e bambini.
Hai fatto qualche corso di fotografia?
No, ho letto tanto, quasi tutto. Ho comprato libri, ho ascoltato consigli, ho lasciato le mie foto alla gogna di amici e conoscenti più esperti. Con il tempo mi sono costruito uno stile, che giorno dopo giorno cerco di migliorare.
Quali sono i fotografi del passato e del presente che più apprezzi?
Non ci sono fotografi che mi hanno ispirato particolarmente. Recentemente osservo questi che forse non sono famosi, ma che sicuramente sono molto bravi: Davide Cherubini (Italia), Sanzen (Giappone), Bruno Taddei (Italia), Tom McFarlane (Stati Uniti), Tatiana Cardeal (Brasile), Martin Gommel (Germania).
Che attrezzatura fotografica hai usato nel passato, e quale stai attualmente utilizzando?
Ho iniziato con diverse compatte, poi il salto al Reflex con la Canon 30 a pellicola e poi il passaggio al digitale, quasi immediato. Adesso utilizzo una Canon EOS 5D con 24-105.
Qual è lo scatto al quale sei particolarmente legato?
Sono tanti, questo rappresenta uno dei primi ritratti a mio nipote.
Quali sono i tuoi progetti attuali e quali quelli per il futuro?
Per il momento il mio progetto è quello di divertirmi, scattando il più possibile, soprattutto quello che mi piace. Poi un giorno vorrei fotografare sul serio.
Hai mai esposto le tue immagini in mostre fotografiche personali o collettive?
No, non ho ancora capito se la mostra fotografica mi affascina oppure mi disgusta. Forse la prima. Vedremo…
Hai mai avuto riconoscimenti in concorsi fotografici o pubblicazioni delle tue foto su libri o riviste?
Non invio mai troppe foto in giro ma qualche riconoscimento in concorsi fotografici sono riuscito ad ottenerlo. Niente di ecclatante sia chiaro. E poi un bellissimo servizio su quella che io ritengo la migliore rivista di fotografia digitale: Photografare in digitale.
Quanto tempo dedichi alla fotografia?
Tanto. Internet, Fotografia e Sport sono i miei passatempi preferiti. Tutto il mio tempo libero.
Raccontaci un episodio curioso o simpatico durante una sessione fotografica.
Abito ad Imperia, città di mare e di vento. Non mancano certo le occasioni per fotografare regate veliche. Durante le ultime vele d’epoca ho deciso di fotografare dalla barca della giuria. Conosco il capitano e gentilmente mi ha offerto un posto privilegiato. Il problema grande è che la barca della giuria rimane ancorata durante tutta la regata e quel giorno il mare era particolarmente mosso. Nonostante una certa esperienza di mare ho accusato l’onda lunga e sono rimasto in coma per quasi otto ore. Possibilità di rientrare a terra? Nessuna. Nonostante tutto sono riuscito a portare a casa qualcosa di interessante, come questa, che rimane una delle mie foto veliche preferite.
Quando rivedi i tuoi vecchi scatti cosa pensi?
Bella, bellissima, brutta, molto brutta, orrenda, carina, bel momento, che giornata! Penso tante cose… :)
Dove sono pubblicate, sul web, le tue foto?
Sul mio Blog/Photoblog e su Flickr.
Un pensiero a chi si avvicina ora al mondo della fotografia.
Voglio citare Helmut Newton: “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia”. Sono tre concetti fondamentali. Chi inizia a fotografare, anche solo per passione, deve considerare questi aspetti.




Queste 4 foto, chiaramente urbex, fanno parte di una più ampia selezione dedicata all’esplorazione urbana. Sono 22 foto (di cui alcune inedite) stampate in grandi dimensioni in fine-art su pannello, scattate a 4 mani (e 2 cavalletti) con la mia compagna di avventura Lorena Durante. Sono esposte al Berlino di Ceva sino al 2 dicembre. La mostra s’intitola Polvere e Bellezza (io sono la polvere, Lorena è la bellezza: ca va sans dire), ed è il frutto di due anni di levatacce mattutine, un progetto impegnato di denuncia di luoghi abbandonati che conta anche compresi una serie innumerevole di reati penali (esageriamo), corse, scavalchi, fango, sporco, polvere, pericoli assortiti e di fotografie fatte in condizioni di luce pessima (e, poche, di luce bellissima). E anche tanta passione e bellezza. Perchè il motore di chi si diletta in questo tipo di fotografia è sempre è solo la passione. E anche un po’ di sana adrenalina (paura anche). Credo che la mostra sia interessante e che le foto abbiamo un livello di qualità davvero notevole (e stampate, bene, hanno un altro fascino). Ed è importante sapere che la bellezza si vede, ma la polvere non si sente.
Polvere e Bellezza si incontrano nei luoghi dell’abbandono; è una miscela meravigliosa di luci e colori, di incuria e tristezza. E’ l’incredibile magia dell’esplorazione urbana.