Quando ho mostrato queste foto in anteprima, la reazione è sempre stata di sorpresa. In effetti, non sembra un vero e proprio urbex. È un luogo che appare sorprendentemente intonso, curato, come se il tempo vi fosse passato senza lasciare traccia. Non so se dipenda dalle scelte fotografiche o dall’impatto iniziale, ma quando sono entrato, la sensazione che ho avuto era proprio quella di trovarmi in una villa abbandonata: il cancello aperto, la porta spalancata, la polvere, gli oggetti senza tempo, e quelle stanze da letto dove l’intonaco si mescola alla moquette, l’idea era proprio quella che nessuno se ne prendesse cura da tempo. Non nascondo che, ancora oggi, ho dei dubbi sulla pubblicazione di queste immagini. Il mio approccio all’urbex è sempre stato quello di catturare un vero abbandono, uno stato di decadenza che si veda anche nelle fotografie. Ma qui, nonostante il silenzio e la malinconia che mi hanno accompagnato per tutto il tempo, non sono riuscito a cogliere quella sensazione di desolazione che cercavo. Forse perché non esiste.
Le stanze erano piene di oggetti lasciati in ordine: le poltrone eleganti, il tavolo con appoggiato il vaso, la vetrinetta con gli alcolici, l’occorrente per il cucito, tutto apparentemente in perfetto stato. Eppure, c’era qualcosa di surreale, di strano. Niente era realmente rotto, niente di visibilmente deteriorato, ma ogni cosa parlava di un tempo lasciato correre e lontano. Il vero abbandono della Villa degli Artisti (preferisco non spiegare la scelta del nome) è nella mancanza di vita: si percepisce che manca il rumore, che mancano le grida, i sorrisi, la confusione, l’allegria, il lento andare avanti degli anni felici, ma anche infelici. Quando ho lasciato la villa, la sensazione di straniamento non mi ha abbandonato, ho accusato la potenza di un mondo distopico. Mi è rimasto il dubbio: ho davvero raccontato un abbandono, oppure ho semplicemente fotografo un luogo in attesa di riemergere dall’oblio? Ma credo che lo scopriremo presto.