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Chiesa di Sant’Antonio
POSTED ON 19 Apr 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

Chiesa di Sant'Antonio /02

La chiesa di Sant’Antonio si trova quasi nascosta tra le colline, lungo una strada poco frequentata, una strada di campagna, tutta curve e lontana dal mondo. Non è visibile dalla strada, quindi ho parcheggiato abbastanza lontano e ho iniziato a salire su una piccola, ma ripida, collina. Il terreno era irregolare e pieno di rovi e alberi, e quando sono arrivato in cima avevo il fiatone per la fatica. Nonostante il sole, il freddo era pungente, come se l’aria gelida di febbraio mi volesse tenere ancorato al terreno. Ma appena l’ho vista, tutta stanca e abbandonata, mi sono sentito subito attratto da quel posto solitario (avrei detto, ironicamente, dimenticato da Dio).

Le mura erano rovinate, lesionate in più punti, e il pavimento era pieno di calcinacci e detriti. Il soffitto, invece, era ancora intatto, anche se crepato in alcuni tratti, ma restava sorprendentemente bello. L’interno era sporco e polveroso, ma l’altare, anche se logorato dal tempo, e i dettagli del soffitto decorato si vedevano ancora. La luce del sole filtrava attraverso la porta principale e una laterale, creando un interessante gioco di ombre sulle pietre e sul pavimento. Il silenzio che c’era dentro dava un senso di calma, di pace interiore, come se il tempo fosse sospeso. Non so quanto tempo ancora resisterà, ma quel che resta oggi della chiesa è un pezzo di fede e di passato che, lentamente, sta svanendo.

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Villa Libarna
POSTED ON 16 Apr 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Villa Libarna, conosciuta anche come la villa degli otto comignoli (ma quel giorno ero senza drone), è un enorme palazzo abbandonato che si trova in Valle Scrivia. Non è certo una meta che vale un viaggio apposta, ma se si è in zona, una tappa ci sta. Tra rovine, ristrutturazioni mai finite e stranezze architettoniche, qualcosa da vedere e fotografare non manca.

Ci sono stato due volte. Alla prima mi sono infilato dentro per esplorare tra stanze spoglie e corridoi pieni di nulla e polvere. L’edificio porta i segni di un restyling moderno – di quelli che iniziano male e poi finiscono anche peggio – che ha tolto fascino all’originale senza riuscire a regalarne uno nuovo. Nonostante tutto, qualcosa colpisce: alcuni soffitti affrescati ancora ben visibili, realizzati dal pittore locale Clemente Salsa (1885-1979), scritte e graffiti sparsi ovunque, e soprattutto tre bagni che ti fanno dire: aspetta un attimo, cos’ho appena visto? In uno c’è perfino una stranissima vasca in marmo che sembra finita lì per sbaglio, un pugno in un occhio. E poi ci sono le ali, già le ali. Le chiamo così, ma in realtà si tratta un brutto graffito con due ali d’angelo: molti si mettono in posa per il classico selfie alato. No comment.

Alla seconda visita mi sono deciso a cercare meglio (grazie a un suggerimento dal basso). E per fortuna: al primo piano, ben nascosta (si scherza), c’è una piccola chiesa interna. Nella prima esplorazione me l’ero proprio persa (colpa della solita fretta). È in cattivo stato, ma fa ancora un certo effetto. Il soffitto, per quanto segnato dal tempo, è bello e decorato. L’atmosfera lì dentro è un po’ strana: sembra di essere in un luogo sacro, ma trascurato, come se fosse stato chiuso all’improvviso e lasciato lì a se stesso. Un mix tra solennità e decadenza, di sacro e profano, antico e moderno, che ti fa fermare in silenzio, giusto il tempo di respirare un’aria diversa.

Villa Libarna è così: un posto pieno di contrasti. Rovinata ma interessante, alterata ma ancora in parte affascinante. Non è il classico luogo da cartolina, è un vuotone, ma se ti piacciono i luoghi abbandonati, le storie lasciate a metà e gli ambienti fuori dal tempo, allora un giro vale la pena. Io ci sono tornato due volte, e non escludo una terza. Scherzavo, non ci sarà una terza.

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White Monday /Miriana
POSTED ON 14 Apr 2025 IN Portrait     TAGS: MODEL, studio, kingoftherings, whitemonday

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La chiesa del cielo
POSTED ON 11 Apr 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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Era il 2020 quando mi trovai per la prima volta davanti a quella piccola chiesa abbandonata, accanto al palazzo che avevo chiamato Il Cielo all’improvviso. La porta era chiusa. Non c’era modo di entrare. L’esplorazione finì lì, lasciando una parte in sospeso.

Cinque anni dopo, nel 2025, ci sono tornato. Questa volta sapevo che la porta sarebbe stata aperta. Finalmente si poteva accedere. La chiesa è minuscola, l’interno completamente spoglio. C’è solo un altare, danneggiato in più punti, e un paio di lapidi incassonate nelle pareti, ingiallite dal tempo. Dentro regnava un silenzio assoluto. Fuori, sulla piazza accanto, si sentivano le voci allegre di bambine che giocavano. Ridevano, correvano. Io, invece, ero immobile, cercavo di non fare alcun rumore. Non solo per rispetto alla sacralità del luogo, ma per non farmi scoprire: qualsiasi suono avrebbe potuto essere percepito all’esterno. Quel contrasto tra la vita fuori e il vuoto dentro rendeva tutto stranamente irreale, quasi inquietante.

Ho scattato sei foto. Poche, ma bastano. Rappresentano l’ultimo pezzo mancante dell’esplorazione cominciata cinque anni prima: il cerchio, finalmente, si è chiuso.

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Le dernier match
POSTED ON 11 Apr 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Nel cuore del sud della Francia, nascosta tra alberi e sterpaglie, al confine di una piccola città, abbiamo esplorato una villa abbandonata immersa nella natura. La struttura, in pietra e legno, conservava tutto il fascino autentico delle baite di montagna, nonostante la vicinanza al mare, e sembrava essere stata lasciata lentamente al trascorrere del tempo.

Fin dai primi passi all’interno, l’atmosfera appariva sospesa, come cristallizzata. Sul tavolo principale si vedevano ancora i resti di una partita a carte, bruscamente interrotta: le dernier match mi ha suggerito il mio amico francese. Accanto, tra oggetti sparsi — un vecchio telecomando, bicchieri, liquori — spiccava una meravigliosa bottiglia di Martini, capace ancora oggi di trasmettere quel senso di eleganza semplice e inconfondibile tipico dello stile del Bel Paese. Sulle scale, una giacca abbandonata sembrava raccontare di una fuga improvvisa, rafforzando l’impressione che tutto fosse stato lasciato di corsa. Anche in Francia l’amore per la costruzione e l’arredo si miscela perfettamente con le storie che le case custodiscono.

Proseguendo nell’esplorazione, siamo arrivati a una cameretta. Qui la muffa era particolarmente estesa: le pareti e il soffitto erano coperti da profonde macchie scure di umidità. Sul letto era appoggiata una vecchia valigia, mentre su una sedia accanto due orsacchiotti ci osservavano silenziosi, contribuendo a rendere l’ambiente ancora più inquietante. Al centro della stanza, un cavallo a dondolo di peluche, sporco e consumato, sembrava resistere al decadimento circostante. Tra tutti gli oggetti, però, quello che più colpiva era una maschera da saldatore. Un oggetto tecnico, ruvido, totalmente fuori contesto rispetto all’ambiente domestico, che dava una sensazione straniante, spezzando l’equilibrio della scena.

Nel garage, tra la polvere, la ruggine e vecchi oggetti accatastati, si trovava una Panhard 24, affascinante esempio di ingegneria e stile degli anni ’60; il frutto della visione audace della storica casa automobilistica francese. Simbolo di eleganza essenziale e innovazione tecnica, questa coupé compatta, anche in stato di abbandono, conservava ancora un’aura raffinata e anticonvenzionale. Purtroppo nonostante la qualità costruttiva e la bellezza delle sue linee, la Panhard 24 non riuscì a conquistare il mercato, segnando di fatto la fine di una delle più antiche case automobilistiche francesi. Uscendo dal garage, abbiamo dato un’ultima occhiata alla casa. Era ancora lì, immobile, come sospesa. Sembrava che nessuno avesse mai avuto davvero il coraggio di concludere l’ultima partita. Adieu.

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Sunset in Peschici
POSTED ON 9 Apr 2025 IN Street     TAGS: travel, sunset, sea

Sunset in Peschici

Questa foto l’ho scattata qualche anno fa, durante una vacanza in Puglia. Avevamo deciso di fermarci a Peschici per un paio di giorni, senza troppi programmi, senza pensieri. Quella sera, dopo aver girato il centro storico e curiosato tra le botteghe, ci siamo seduti in un bar per un aperitivo con vista sul mare. Il tramonto era spettacolare: c’era quell’odore di salsedine nell’aria e le barche erano ferme in porto, a galleggiare fra le onde. A un certo punto mi sono alzato, ho preso la macchina fotografica dallo zaino (sempre pronta) e l’ho appoggiata sulla ringhiera della terrazza, giusto per tenerla ferma. Ho scattato senza pensarci troppo, quasi d’istinto. Non era una foto studiata, solo il bisogno di fermare un momento da ricordare.