L’ambasciatore non è una figura realmente esistita. Come spesso accade nel mondo dell’urbex, si intrecciano indizi, pochi ma significativi, magari trovati per caso, e una grande dose di fantasia. Una fantasia che diventa il cuore pulsante di una storia capace di trasformare un semplice luogo in un racconto intrigante, una metafora della vita.
Questa villa è un susseguirsi di stanze affascinanti, ognuna con un suo carattere particolare. Appena si entra, si viene accolti da una sala da pranzo elegante, in cui spiccano le bandierine che, come dicevo prima, danno quell’idea di corpo diplomatico: il tricolore francese, la Red Ensign, la bandiera della marina mercantile del Regno Unito, e un’altra che non sono riuscito a riconoscere. Da lì, si prosegue in un percorso che ci porta a scoprire diverse camere da letto, una cucina, bagni, tutti arredati con gusto e raffinatezza. I pavimenti, sempre intensi nei colori e nei motivi, e le tappezzerie eleganti, contribuiscono a dare un’atmosfera quasi surreale, un’aria di lusso che ora si scontra con il decadimento del tempo e le pareti scrostate; ovviamente non può mancare la madonna di Lourdes, ma quella è un grande classico che non manca mai.
Purtroppo il tempo è passato, e sono ormai tanti anni che questa villa è in stato di abbandono: la storia dell’ammmericano e della sua sposa è un lontano ricordo. L’agenzia immobiliare che si occupava della vendita ha provato a trovare un compratore, ma alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza. Oggi, la villa dell’Ambasciatore inizia a mostrare notevoli segni di decadimento: il tetto sta crollando sotto i colpi delle intemperie e se la situazione dovesse continuare così è difficile dire quanto ancora resisterà. La villa, purtroppo, non ha un futuro roseo, e il suo fascino rischia di svanire nel nulla se non verrà preservato. Ah, dimenticavo: non solo Lourdes, anche Olio Carli e Bitter Campari non mancano quasi mai.
Maliziose, intriganti, originali, dolci, rumorose, grintose, incazzate e fuori di testa, si descrivono così sul loro sito. Le Bambole di Pezza sono una band rock italiana interamente al femminile, originaria di Milano: suonano un rock potente e sempre coerente. Il loro pezzo che preferisco è sicuramente Le streghe, una canzone che mi è subito entrata in testa perché molto orecchiabile e con un testo intrigante e divertente. È da sempre nella mia playlist delle preferite. Dopo una pausa di riflessione e di lontananza dalla scene, nel 2022, le due chitarriste, Morgana Blue e Dani Piccirillo, ripresero il progetto sotto il vecchio nome, con tre nuove compagne d’avventura: la cantante, Martina Ungarelli, e rispettivamente al basso e alla batteria, Caterina Dolci e Federica Rossi.
Ho scelto 34 foto, cercando anche di includere, in alcune immagini, il pubblico, per dare un senso più intrigante e coinvolgente agli scatti. Non esiste una zona riservata ai fotografi al CAP10100, quindi mi sono avvicinato il più possibile, cercando di catturare l’entusiasmo e l’erotismo che le Bambole di Pezza sprigionano sul palco, anche con un tocco di voyeurismo (perdonatemi il termine) nelle immagini. Ecco le Bambole di Pezza, in tutto il loro splendore.
È passato un po’ di tempo dall’esplorazione che voglio raccontare oggi, ma è ancora ben impressa nella mia mente: forse perché ero da solo, una situazione che aumenta il grado di percezione dei miei sensi, ma che per fortuna mi capita di rado. Parcheggiai non troppo distante dal mio obbiettivo e mi guardai intorno: il sole stava sorgendo e presto sarebbe stato giorno. La location che volevo esplorare era davvero particolare: una una casa circondata da un piccolo boschetto e immersa nel nulla, in una posizione che oserei definire bizzarra. Per raggiungere il boschetto bisognava camminare in mezzo ai campi, in piena vista. Non ci pensai troppo, iniziai a percorrere la strada nella terra e, senza che nessuno si accorgesse di me, mi infilai nel bosco. Era mattino presto, troppo presto, quindi era difficile che qualcuno potesse essere sveglio a quell’ora e notare un tipo sospetto, con lo zaino e un treppiede ingombrante, camminare veloce nel nulla.
Uscendo dalla cucina si scopre la stanza più interessante, la stanza che regala il nome alla location e che lascia quasi interdetti: Red Passion. E’ una camera da letto molto affascinante, con un letto a baldacchino semplicemente meraviglioso. Il colore dominante è un rosso vibrante, un rosso teatrale, quasi passionale. C’è un mobile sul fondo pieno di vestiti, una serie di oggetti sparsi, un crocifisso appeso alla parete e altri piccoli dettagli che rendono l’ambiente molto intrigante. E poi quel mappamondo, come un simbolo di quanto il pittore fosse legato a quella sua dimensione, come se quella stanza non fosse solo il suo rifugio, ma il suo mondo intero. Poco distante, sempre al secondo piano, c’è anche un bagno, decisamente devastato, con pochi oggetti rimasti, tra cui due spazzolini da denti, uno rosso e uno verde, malinconici nella loro solitudine.
Questa casa apparteneva a un pittore che ormai non c’è più, un pittore molto conosciuto che ha lasciato tracce della sua esistenza in ogni angolo. Si dice che non avesse mai lasciato questo posto, che la sua vita fosse stata scandita dalle camminate nei campi circostanti, nei suoi momenti di solitudine, nei suoi momenti di raccoglimento. Oggi, nonostante la casa sia in rovina, c’è ancora qualcosa di potente che rimane. La sua memoria non è andata persa, si è solo silenziata, in attesa di essere ricordata.
Il Carnevale di Ivrea è conosciuto soprattutto per la Battaglia delle Arance, che sicuramente è l’evento più famoso e quello che si vede raccontare in televisione. Ma in realtà il Carnevale di Ivrea è molto più di questo e affonda le sue radici addirittura nell’anno 1194. Purtroppo, per motivi di tempo, non sono riuscito a catturare tutto e mi sono concentrato sulla Battaglia delle Arance, ma ci sono tante altre tradizioni e manifestazioni che meritano di essere raccontate. Ad esempio, una figura centrale del Carnevale è la Mugnaia, definita vezzosa, una donna che simboleggia la resistenza contro il tiranno. La Mugnaia nasce nel 1858 e si ispira a Violetta, un personaggio storico realmente esistito. Secondo la leggenda, Violetta -figlia di un mugnaio- uccise il tiranno tagliandogli la testa, dopo averlo fatto ubriacare, ribellandosi allo ius primae noctis (mito nato in Europa nel corso del secoli) imposto dal barone.
Purtroppo, come dicevo, non è facile riuscire a seguire tutte le manifestazioni che caratterizzano il Carnevale di Ivrea, soprattutto se non si è eporediesi. Sono arrivato domenica mattina e ho fatto un giro veloce in città per vedere l’allestimento: era talmente presto che ho rischiato mi chiedessero aiuto per scaricare le cassette, rigorosamente in legno, di arance. Non sono riuscito a visitare il Borghetto, un quartiere che mi affascina molto e dove comandano gli aranceri dei Tuchini, e mi sono perso anche la Preda in Dora, perché sono dovuto correre via per assistere alla preparazione del carro. Nonostante la fretta, ho avuto la fortuna di assistere all’arrivo del Generale, colui che dà il via ufficiale ai festeggiamenti, della vezzosa Mugnaia, del Podestà e di tutta la corte che accompagna i due protagonisti della sfilata.
In quest’ultimo post ho raccolto un mix di foto, messe in ordine quasi casuale, che cercano di descrivere, anzi, di dare un’idea di una parte del Carnevale di Ivrea. Mi sarebbe piaciuto avere più tempo per dedicarmi anche agli eventi, definiamoli collaterali, non solo alla battaglia delle arance. Purtroppo, è difficile, ma non impossibile. Mi piacerebbe tornare, magari con più calma, per scoprire tutte le sfaccettature di questa straordinaria festa.
Oggi voglio raccontarvi il vero carnevale storico di Ivrea, la sua essenza, portandovi al suo interno nel senso più vero del termine. La storia inizia nel 2012, la mia prima volta al Carnevale di Ivrea. Quel giorno scattai delle foto, come sempre, e fui contattato da uno dei membri di un carro, Nikhy, che mi invitò a tornare l’anno successivo per fotografare la sua squadra in azione. Nel 2013 purtroppo dovetti rimandare il mio ritorno, e poi rimandare ancora, e poi ancora. Quest’anno, dopo 13 anni, ho deciso di scrivere a Nikhy per chiedergli se l’invito fosse ancora valido. Mi ha risposto di sì, ha chiesto alla sua squadra (I Paladini di Via Palma) e abbiamo cominciato ad organizzarci.
Quando le pariglie si sono messe in fila ho cominciato a capire davvero cos’è il Carnevale di Ivrea. Le battute sono diminuite, i sorrisi sono diventati meno frequenti e la tensione è aumentata. Sono salito con loro sul carro e ho fatto una domanda precisa: “Siete emozionati?”. Mi hanno risposto di sì, che erano concentrati e che sentivano l’importanza dell’evento. In realtà non avevo bisogno di sentire la risposta, perché l’avevo già capito senza chiedere. Poco dopo Fernando, il capocarro, mi ha chiesto se volessi partecipare alla battaglia, rimanere sul carro con loro. All’inizio ho detto subito di no, istintivo, ma poi, pentito della mia risposta, ho cambiato idea. Avrei rischiato qualcosa rimanendo a bordo, ma ho pensato che si trattava un’emozione che si vive una volta sola nella vita e sarebbe stato un punto di ripresa fotografico non banale. Non capita tutti i giorni di salire su un carro al Carnevale di Ivrea, e quindi ho deciso di restare. Una pazzia, non troppo calcolata in realtà: avrei dovuto capirlo dalla reazione dei miei compagni di viaggio, ma ormai il dado era tratto.