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Il palazzo dei Ritratti
POSTED ON 30 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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La Villa dei Ritratti, o meglio, il Palazzo dei Ritratti, è un luogo che lascia un’impressione particolare. Abbandonato da tempo, distrutto e devastato, sembra racchiudere un’energia nascosta, come se ci fosse ancora qualcosa da raccontare, nonostante il suo stato di decadenza. La bellezza più evidente risiede in alcune stanze che, purtroppo, sono rimaste intatte solo parzialmente. Una delle stanze più suggestive è quella da letto, dove sono appesi i due ritratti che danno il nome alla villa. Ritratti di figure antiche e storiche, i cui sguardi sembrano ancora osservare chiunque vi entri. Attorno a questi quadri, un appendiabiti rovinato e storto, dei libri, vestiti sparsi sul letto, una carrozzella per bambini in mezzo alla stanza. La scena potrebbe sembrare disordinata, ma c’è una sorta di fascino che non si può ignorare.

Nel resto della villa, l’abbandono è evidente. Una stanza con un letto isolato, una camicia appesa, una cucina che sembra essere stata dimenticata con bottiglie di vetro ancora impilate. Ogni camera racconta poco, solo vetri rotti, persiane malconcie e muri che si scrostano. Quello che ho trovato davvero interessante in questo palazzo sono i pavimenti. Sono tipici del secolo scorso, con uno stile che richiama l’epoca e porta con sé un fascino vintage, un po’ retrò, che negli ultimi anni è tornato molto in voga. La loro bellezza non passa inosservata: riescono a trasmettere una sensazione di nostalgia e al tempo stesso di antica bellezza.

Nonostante la mia difficoltà nel fotografare questo luogo e il risultato non perfetto dal punto di vista tecnico, c’è qualcosa di intrigante nel Palazzo dei Ritratti che mi ha spinto a condividerlo. Forse è la storia che quei ritratti sembrano raccontare, o il contrasto tra la rovina e la memoria che ancora permane in quei luoghi. Non è un posto che offre una bellezza visibile a tutti, ma forse è proprio questo il motivo che gli regala un fascino unico.

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Santuario della Madonna della Pieve
POSTED ON 28 Mar 2025 IN Landmark, Reportage     TAGS: church

Pieve di Santa Maria /01

Da quando vivo a Beinette, ormai quasi vent’anni (ah, come passa veloce il tempo quando ci si diverte), ho sempre visto la Pieve di Santa Maria (Madonna della Pieve) come un luogo molto misterioso, sempre chiuso al pubblico, inaccessibile. Tutti mi raccontavano quanto fosse meravigliosa, ma non riuscivo mai a visitarla. La curiosità ha preso il sopravvento, aiutato dalla mia fama di fotografo dell’impossibile (ahahahah), ho chiesto al sindaco del paese, che mi ha dato il contatto giusto, e infine sono riuscito a visitarla grazie a una gentilissima guida, la bravissima Grazia Dosio, che mi ha accompagnato, da solo e scusate l’onore, alla scoperta della Pieve di Beinette.

Gli affreschi della Pieve sono incredibili, la storia è affascinante, ma non è mio compito raccontarla qui (io scatto foto)(per i più curiosi l’ho rubata e aggiunta qui in calce). Ho cercato di scattare le foto nel modo più divulgativo possibile, lasciando da parte la mia solita vena artistica (che io solitamente faccio le foto senza passione come facessi un catalogo di vendita) cercando di trasmettere attraverso le immagini ciò che le parole raccontano (e non raccontano). Non pensavo fosse così bella; è un luogo storico, affascinante, e sono davvero felice di poterla condividere con chi mi legge, perché merita davvero di essere conosciuta.

La Pieve di Santa Maria, conosciuta anche come Madonna della Pieve, si trova a Beinette, e rappresenta uno dei luoghi storici più affascinanti della zona. La sua costruzione risale al periodo medievale, con tracce di attività che si estendono dal X secolo. La chiesa fu originariamente un importante centro religioso per le comunità locali e, nel corso dei secoli, ha subito numerosi interventi di ristrutturazione e ampliamento, trasformandosi in un luogo che unisce spiritualità, arte e storia. La Pieve di Beinette ha avuto un ruolo di rilievo come i>pieve medievale, una chiesa che serviva come centro per diverse parrocchie, divenendo un punto di riferimento per i fedeli della zona. La sua posizione conferisce al luogo una bellezza particolare e un’aura di serenità che ancora oggi si respira. L’interno della chiesa è impreziosito da affreschi che raccontano la storia religiosa del luogo e che ne testimoniano l’importanza come centro di culto. Uno degli aspetti più affascinanti della Pieve di Beinette è il suo catino absidale, decorato con un ciclo di affreschi di straordinaria bellezza e valore. Gli affreschi, risalenti al XIII secolo, sono stati realizzati con tecniche tipiche dell’epoca, con un uso sapiente del colore e della prospettiva. Il ciclo pittorico è incentrato sulla rappresentazione della Madonna in trono, con il Bambino, circondata da angeli e santi, e incorniciata da una serie di scene che raccontano episodi biblici. L’iconografia scelta per il catino absidale non è casuale: la Madonna è un simbolo di protezione e speranza per la comunità, mentre le figure sacre che la circondano sottolineano la sacralità del luogo. Le pitture murali del catino absidale sono di grande pregio anche per la loro intensità emotiva e per l’armonia che riescono a trasmettere. Il ciclo degli affreschi, che si sviluppa su tutta la volta, rappresenta un’opera di grande rilevanza artistica, realizzata probabilmente da una scuola pittorica locale sotto l’influenza di maestri provenienti da aree più centrali, come Torino e il Monferrato. Questi affreschi non sono solo testimonianze artistiche ma anche strumenti di evangelizzazione, poiché l’arte medievale aveva spesso la funzione di insegnare la religione ai fedeli attraverso immagini facilmente comprensibili. Oltre ai dipinti nel catino, la Pieve di Beinette ospita anche altri affreschi che arricchiscono l’ambiente, raffigurando scene della vita di Cristo e dei santi. L’arte che decora la chiesa, unita alla sua storia, rende la Pieve un luogo di grande fascino per gli appassionati di arte, storia e spiritualità. Anche se la chiesa ha subito diversi restauri e modifiche nel corso dei secoli, gli affreschi e l’atmosfera che si respira al suo interno continuano a mantenere intatto il fascino di un luogo che racconta secoli di storia e di fede.

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Chiesa della Beata Vergine Addolorata
POSTED ON 27 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

Chiesa della Beata Vergine Addolorata

Durate il girovagare urbex capita, non di rado, di imbattersi in luoghi intriganti, almeno da lontano. Mentre andavamo alla ricerca di una piccola chiesa abbandonata ci siamo trovati davanti a una costruzione che inizialmente non riuscivamo a identificare. Ci siamo avvicinati e abbiamo scoperto che si trattava di una piccola cappella, chiusa con una porta in metallo e un lucchetto nuovo, segno di un accesso precedente, anche recente. Da fuori, una piccola finestra ci ha permesso di intravedere l’interno della chiesa, e questo ha aumentato il rammarico. Ho comunque deciso di fotografare con l’obiettivo da 14mm, sfruttando un diaframma aperto (comunque con il grandangolo la parte a fuoco è estesa) e alzando gli ISO per compensare la scarsa luce: nessuna intenzione di armeggiare con il treppiede, troppo complicato. Nella foto ho lasciato visibili le sbarre della finestra, per far comprendere che questa bellezza è stata fotografata dall’esterno. La chiesa è dedicata alla Beata Vergine Addolorata, ma viene chiamata in zona Madonna dei Campi. A volte, anche un’esplorazione parziale può raccontare qualcosa, magari solo da lontano.

All’interno della chiesa, gli affreschi sulla parete sinistra mostrano una Madonna in trono con il Bambino, databile al XIV secolo, accanto a un uccellino, inserita in una nicchia con fondo curvo. Più a sinistra, un altro lacerto d’affresco raffigura un frate francescano, il cui busto è stato recentemente strappato. Il presbiterio, sopraelevato rispetto alla navata, ospita un altare barocco con decorazioni in stucco e volute colorate. Dietro l’altare, resta visibile un frammento della Madonna Addolorata. Accanto all’altare, sono dipinti due profeti, identificabili rispettivamente con Davide e Geremia.
Qualcuno volò sul nido del Barbagianni
POSTED ON 24 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX

Il Barbagianni /18

Il Barbagianni comune (Tyto alba, se vi piace il nome scientifico) è un rapace notturno che potrebbe tranquillamente essere il Batman degli uccelli, se solo avesse una caverna segreta e un mantello. Appartiene alla famiglia dei Titonidi, ma quello che più ci interessa è il suo nome: Barbagianni. Vi siete mai chiesti da dove venga? Bene, barba è una forma settentrionale di zio (molto ligure in effetti), e Gianni… beh, è l’ipocoristico del nome italiano più conosciuto. Quindi, in pratica, è lo zio Giovanni del regno animale, un nome affettuoso che gli è stato dato per la sua reputazione di guardiano, come se fosse il nostro protettore notturno. Quando si avvicina alla sua preda, il Barbagianni ha una tecnica di volo che sembra un’arte marziale: un movimento oscillante che lo rende super discreto. E non solo, il suo volo è il più silenzioso di tutti gli uccelli conosciuti. Immaginatevi un ninja piumato che sorvola il mondo senza fare un rumore, l’incubo dei suoi nemici, il predatore perfetto. La sua struttura fisica è un altro segreto del suo successo: le ali, che sono molto più grandi rispetto al suo corpo, gli permettono di planare senza muovere un muscolo. È come se avesse il suo personalissimo hovercraft per volare senza sforzo. In poche parole, il Barbagianni è il supereroe dei cieli: silenzioso, agile e sempre pronto a sorprenderci.

Per volare verso il suo nido, bisogna essere come il nostro Barbagianni: dei veri e propri ninja silenziosi. Aprire, sorvolare, scavalcare, camminare, salire, sempre nel massimo silenzio. E poi, restare sorpresi e affascinati, perché il nostro supereroe appare come per magia, all’improvviso, fiero e magnifico. È lui il protagonista indiscusso della nostra esplorazione, e non potrebbe essere altrimenti. Ci osserva, ci scruta e, chissà, forse ci protegge anche. E come succede quando ci troviamo di fronte a un eroe famoso e indiscutibile, il resto, purtroppo, non regge il confronto, nonostante la sua straordinarietà e la sua bellezza. La sala che ospita il nostro pennuto è davvero incantevole, con un bellissimo pianoforte, una macchina da scrivere Remington 12, un modello importato tra le due guerre dal famoso Cesare Verona. E poi c’è una bottiglia storica di Vermouth Martini, che per un attimo mi ha fatto venire voglia di sedermi davanti alla Remington e lasciarmi trasportare nell’atmosfera di un classico aperitivo all’italiana.

Potrei continuare a descrivere le meraviglie di questa villa, ma sarebbe inopportuno nei confronti del Barbagianni. Sinceramente non credo di averne la forza, anche se gli Amaretti di Sassello, la Savonarola e quel romantico baule lungo la scala avrebbero meritato almeno una menzione. Prima di uscire mi sono fermato sotto uno strano ed elegante porticato. Smoke ho pensato, ho capito e per un attimo ho sentito il desiderio di accendere una sigaretta, poi mi sono ricordato che quel vizio mi manca. Ho spinto la porta ed è come se fossi uscito in un altro mondo, un mondo che pensavo fosse libero: ho girato lo sguardo e davanti a me una strega, cattiva, forse anche più cattiva di quanto ricordassi. Non si può cambiare, non è un incantesimo, è magia nera, pura, che si aggrappa alle ombre e ti trascina nel baratro.

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The Citadel
POSTED ON 24 Mar 2025 IN Landmark     TAGS: EVENT

The Citadel

Tanti anni fa, c’era un videogioco in cui il protagonista, armato, si faceva strada attraverso luoghi oscuri, attaccato da mostri e creature varie. Uno sparatutto, non ricordo con precisione i dettagli, ma uno dei livelli del gioco era chiamato The Citadel /e non riuscivo a superarlo). In questo livello, il protagonista si trovava all’interno di una cittadella militare e veniva costantemente assediato e doveva difendersi da ogni parte. Mi creava un’ansia pazzesca, ma ero molto giovane. Domenica, durante le giornate FAI di Primavera (ma faceva talmente freddo da sembrare inverno), sono andato ad Alessandria e ho avuto la possibilità di visitare ed esplorare la Cittadella, una ex caserma militare dal grande valore storico. Essendo una struttura imponente, mi ha subito ricordato quelle sensazioni di pericolo e guerra che avevo vissuto durante le sessioni di gioco a DOOM (questo il nome del videogame) tra armi, vita militare e l’atmosfera di assedio.

La visita è stata molto interessante, purtroppo il tempo non era dei migliori, non ero ispirato, sarà l’aria mandrogna, sarà la focaccia dolce, ma le foto fanno schi sono poco significative. Nonostante tutto c’è un’immagine, una sola, che mi piace particolarmente. Rappresenta un momento della visita all’interno del bastione Sant’Antonio, nelle gallerie di demolizione, una delle zone esterne e più nascoste della cittadella (il senso di isolamento è inquietante). Questa foto mi piace per il contrasto fra il colore giallo dei caschetti da cantiere e l’ambiente quasi monocolore; ho quindi deciso di condividerla, unico scatto della giornata.

Chissà, magari un giorno tornerò alla Cittadella di Alessandria, meglio in estate, con il sole e una luce diversa, più favorevole. Per ora mi accontento di questa interessante lezione di storia, fra Savoia, Napoleone, Risorgimento Italiano e Novecento.

Doom (scritto DOOM in caratteri maiuscoli) è un videogioco creato da id Software e pubblicato nel 1993. È ritenuto uno degli esempi più influenti del genere sparatutto in prima persona. Combinando un innovativo uso della grafica 3D, uno stile di gioco semplice e veloce e un elevato tasso di violenza, in breve tempo diventò molto popolare. Nel 1997 è stato stimato che la versione shareware (che comprende il primo dei tre episodi del gioco) sia stata prelevata e giocata da almeno 15 milioni di persone.
La Casa del Maestro
POSTED ON 23 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Il mondo dell’urbex è affascinante anche, e soprattutto, per la sua varietà di esperienze, per i luoghi che possiamo scoprire, per le storie che raccontano. Ci sono tre tipologie principali di esplorazioni urbex, ognuna con le sue particolarità e il suo fascino.

La prima tipologia riguarda i luoghi completamente abbandonati e vuoti, quelli che non contengono più nulla. Si tratta di edifici che sono stati lasciati da tanti anni, vuoti e senza vita, ma il loro fascino consiste proprio in quell’atmosfera di abbandono totale, nel senso di nulla. La seconda tipologia è quella degli spazi che sembrano ancora vissuti, ma sono comunque abbandonati. Questi luoghi sono pieni di oggetti, alcuni lasciati in disordine, ma la maggior parte conservati come se fosse stata appena interrotta la vita di tutti i giorni. Non sono vuoti, anzi, e l’aspetto un po’ borderline dell’urbex esplode proprio qui: sembra quasi di intromettersi nella vita di uno sconosciuto, con l’impressione di una fuga improvvisa oppure di qualcuno che stia per tornare, ma non lo farà mai. Infine, la terza tipologia, che considero la più affascinante, riguarda le ville abbandonate da tantissimi anni ma che raccontano una storia dal passato. Si tratta di case che sono rimaste ferme nel tempo, ma che conservano ancora gli oggetti e le tracce di una vita. Questi luoghi sono come una capsula del tempo: muri decrepiti, tappezzeria scollata, finestre rotte, ma all’interno c’è un mondo che racconta di chi ci ha vissuto. La Casa del Maestro è un esempio perfetto di quest’ultimo tipo di esplorazione.

Quando si entra in un posto come questo si capisce subito che si tratta di un luogo abbandonato. Al primo piano l’ambiente è buio e si respira un’odore di muffa pestilenziale, gli oggetti sono ovunque, il disordine regna sovrano, con stanze devastate che parlano di tempo e di oblio: quasi impossibile riuscire a fotografare. Ma poi, salendo al piano superiore, la situazione cambia. Qui si percepisce chiaramente che la persona che viveva in questa casa era molto religiosa. Ovunque ci sono madonne, libri, oggetti di culto, ma anche tracce di una vita quotidiana che non c’è più. Le finestre sono spalancate, il guano di piccioni è visibile, i muri si stanno scolorendo, la tappezzeria è in procinto di staccarsi. Nonostante la confusione, si respira un fascino particolare.

Le stanze da letto sono una successione di camere piene di oggetti disordinati, sporchi e polverosi, ma allo stesso tempo affascinanti nella loro imperfezione. Tra i tanti libri, uno in particolare mi ha colpito: Le mie prigioni di Silvio Pellico. Questo mi ha fatto sorridere, perché proprio quel giorno, passando in una via che portava il nome di uno degli eroi del nostro risorgimento, avevo raccontato la gaffe di un amico su via S.Pellico: lui l’aveva chiamata, con una certa dose di ignoranza, via San Pellico. E quando sono entrato nella casa e ho trovato proprio quel libro, è sembrato quasi un segno del destino, un momento che potrei definire surreale.

Uscendo dalla Casa del Maestro la sensazione che ho avuto è stata quella di bellezza pura. Un’esplorazione che mi ha restituito la vera essenza dell’urbex: un luogo che è ancora tangibile nel suo abbandono, con quell’atmosfera decay davvero irresistibile. Non sono riuscito a capire l’origine del nome, non ho trovato oggetti con possibili riferimenti alla scuola, ma sicuramente qui viveva una persona di grande cultura. L’insieme delle foto è il risultato di due esplorazioni in tempi diversi e si notano le differenze: aguzzate la vista, ma solo per solutori più che abili.

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