POSTED ON 19 Dic 2024 IN
Reportage
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URBEX
Ci sono storie che arrivano da lontano e raccontano di caldo, dispetti, avventure, emozioni, distanza geografica e tante altre cose. Torno indietro nel tempo, era la metà di luglio del 2022, una delle estati più calde di sempre e ricordo ancora il fastidio, la tremenda afa che mi attanagliava nel parcheggio di quel supermercato mentre, con il drone, sorvolavo da lontano Villa Grazia. Che poi l’ho sempre chiamata così, non so per quale motivo, ma in realtà il vero nome è Villa Sebregondi, detta La Macciasca. Si tratta di una meravigliosa dimora storica, costruita alla fine del 1700 e che oggi giace vuota, silenziosa, immobile e bellissima.
La famiglia Sebregondi è originaria di Domaso, sul Lago di Como e le prime notizie certe risalgono al 1220, quando Gherardino Sebregondi svolgeva il ruolo di giudice a Colico. Un suo discendente, Giacomo Antonio (1642-1718), figlio di Giambattista (1566-1667), podestà di Colico, si trasferì a Como dove fece costruire il palazzo di San Bartolomeo e accumulò un ingente capitale. La famiglia era une delle più ricche ricche e influenti della zona e nel 1788 il pronipote di Giambattista, Giacomo Antonio Sebregondi (1760-1849), fu riconosciuto nobile dall’Imperial Regio Tribunale Araldico Lombardo. Negli ultimi anni del 18° secolo, Giacomo Antonio fece erigere una villa dove risiedere con la famiglia a Maccio, allora Comune, accorpato nel 1928 a Villa Guardia. La villa, il cui interno era riccamente affrescato e ornato in ogni locale, era chiamata “La Macciasca” dal nome del paese, aveva una scalinata a doppia rampa all’ingresso, tre piani più uno seminterrato, oltre a una piccola corte con una cappella gentilizia.
La villa è ormai vuota, depredata degli arredi, ma custodisce una storia importante e rappresenta quella sensazione di decay che per il sottoscritto è l’Urbex con la lettera iniziale maiuscola. È tutto un susseguirsi di stanze e di colori che permettono di fotografare con razionalità e pulizia, e poi quel divanetto, ormai diventato il simbolo della villa, che è tutto quello che si può chiedere alla fotografia di luoghi abbandonati. Avrei voluto tornare a Villa Grazia, ho provato un paio di volte senza riuscire e alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza. Villa Grazia è diventata, suo malgrado, un simbolo di tutto quel che dovrebbe essere e che mai diventerà. Salvo complicazioni.
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POSTED ON 13 Dic 2024 IN
Reportage
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URBEX
Oggi racconto la storia di una stanza, una singola stanza. Perché il resto della casa è normale, tradizionale, nulla da segnalare: una moderna abitazione del nostro paese; e per una volta preferisco limitare il reportage al singolo ambiente. Ho fotografato tutto, ma non avrebbe nessun senso aggiungerlo proprio per un discorso di attinenza.
Quando si entra
nella memoria del Dragone Rosso si scoprono
i ricordi di un tempo meraviglioso. Qui il treno conclude il suo percorso e sembra che la fermata sia sul fiume azzurro, ai tempi della
Dinastia Ming. Non è facile comprendere il motivo di
questo spazio meraviglioso, proprio di fronte alla porta di ingresso: ma sicuramente si viene presi dalla voglia di sedersi sul divano e godersi un tè verde con il sottofondo musicale di un guqin.
Tutto è perfetto e l’insieme fa pensare davvero di essere in Cina. I colori, i dettagli, i vasi, il lampadario, il divano, la finestra, i quadri dipinti sulle pareti: tutto è ricostruito perfettamente, come un mondo parallelo, come un viaggio nello spazio/tempo attraverso una porta di ingresso: sembra di vagare nel nulla più disperato e, pochi istanti dopo, si varca un portone e ci si ritrova nella Repubblica Popolare Cinese. E poi quando si esce e l’idea è ancora quella di vivere un sogno, si guarda per terra, si vedono due pietre che sorreggono un cartello e si legge una scritta che riporta immediatamente alla realtà: Casa disabitata non c’è nulla da portare via.
POSTED ON 9 Dic 2024 IN
Reportage
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URBEX,
Disco
Quando si parla di discoteche abbandonate il mio pensiero torna sempre ai meravigliosi anni ’90 quando con gli amici, il sabato sera, si passavano le notti in queste meravigliose cattedrali della musica e del divertimento. Che se ci ripenso adesso mi chiedo sempre: “Ma perché?”. Eravamo giovani e con tanta voglia di divertirci. Ed è proprio questo l’errore, in realtà raramente mi sono divertito in discoteca, forse mai. Ma sono altri discorsi, nostalgici, un po’ da boomer, qui adesso si parla di fotografia e di esplorazione urbana.
Il Palladium è una delle tante discoteche abbandonate che possiamo trovare girando per le strade di periferia. Nel caso è inutile nascondere i dati sensibili: è facilmente rintracciabile con una semplice ricerca su Google. La differenza con le altre sale da ballo tanto in voga alla fine del secolo scorso (e in parte nei primi anni di questo) è l’entrata, l’ingresso principale. La parte centrale è del tutto normale: tanti divanetti (ah, i divanetti), tavolini, un paio di bar, la pista da ballo. Ma l’ingresso è molto particolare, ordinato e pulito, con tanti specchi ancora incredibilmente intatti, un divano centrale, le sfere sul soffitto e tre bellissime statue, riproduzioni di celebri opere del passato (fra cui la Venere di Botticelli).
Non ho scattato molte foto, l’entrata è l’unica parte interessante, ma quando sono uscito mi sono voltato indietro e ho dato un’ultima occhiata alle statue, a quell’atrio così particolare, a quel gioco di specchi, e mi sono immaginato la mole di persone in coda per entrare, il freddo che qui è pungente, i ragazzi in attesa di passare una bella serata. Non erano poi così male i mitici novanta.
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POSTED ON 9 Dic 2024 IN
Reportage
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EVENT
Come inviato molto speciale di Igers.Piemonte e Igers.Cuneo ho presenziato (e fotografato) alla preview del GinItaly che si è tenuta a Mondovì nel week-end dell’Immacolata (6-7-8 Dicembre). Il vero festival, che come indica il nome stesso ha aspirazione di carattere nazionale, si terrà a Mondovì dal 31 maggio al 2 giugno 2025; e l’anteprima di questi giorni ha la funzione di avvicinamento al vero e proprio main event (che sarà assolutamente da non perdere).
«Si parla di cultura, non di alcol» specificano subito gli organizzatori.
Io sono riuscito ad essere presente solo nella giornata di domenica, ma devo ammettere che l’evento è stato più che interessante; ho passato quasi tutto il pomeriggio nelle tre stanze dell’Antico Palazzo di Città: tantissimi curiosi, qualche amico, molti bevitori, un gioco di luci non banale (il blu che caratterizza le immagini è il colore ufficiale del festival e delle bacche di ginepro) e una fotografia fra la street e il dettaglio. Ho provato qualche dito di gin, assaggiato tre Gin Tonic e comprato due bottiglie (!): un agrumato e un secco, ma sono regali di Natale ovviamente.
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POSTED ON 8 Dic 2024 IN
Reportage
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EVENT
POSTED ON 5 Dic 2024 IN
Reportage
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URBEX
So benissimo che aprendo quella porta entrerò in una stanza magica. Perché ho visto qualche foto, poche a dire il vero, e mi hanno raccontato. La porta è socchiusa quindi da fuori capisco che sto per entrare nella famosa stanza; in realtà è più dura del previsto, riesco ad aprirla, con fatica, e sono dentro. Non è come mi aspettavo, è semplicemente dieci volte di più. L’ambiente intorno non è certo quello di altre esplorazione stellate, ma fra queste quattro pareti si respira la meraviglia. Tutto sembra immobile, nessuno ha osato modificare l’immagine: il divano ad angolo, leggermente spostato, il televisore, la lucidatrice e la radio Regler, che ci portano dentro un mondo incredibilmente vintage, le poltrone e un soffitto da lasciare senza parole. Tutto perfetto e preciso.
L’unica stanza interessante è quella mi avevano detto. In realtà tutta la casa è bellissima: soffitti decorati, lo studio, la camera da letto, l’ingresso, i fantastici pavimenti tipici del secolo scorso. Se però devo essere sincero è il bagno ad avermi impressionato maggiormente: oggi ci limitiamo al bianco (e poco altro), ma nella seconda meta del ‘900 era normale, di moda, che i sanitari fossero colorati con tonalità improponibili: visone, rosa sussurrato, castoro (incredibile), champagne, il kashmir, il whisky, il daino, ma anche azzurro sussurrato, cactus, noce, grigio mondrian, blu cobalto. Qui avevano optato per un turchese davvero molto particolare circondato da piastrelle verdi chiaro: oggi sarebbe un insulto all’estetica e al pragmatismo. Ma devo ammettere che questa riscoperta del gusto di una volta è parte integrante del fascino urbex.
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