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La Villa dell’Ambasciatore
POSTED ON 11 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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L’ambasciatore non è una figura realmente esistita. Come spesso accade nel mondo dell’urbex, si intrecciano indizi, pochi ma significativi, magari trovati per caso, e una grande dose di fantasia. Una fantasia che diventa il cuore pulsante di una storia capace di trasformare un semplice luogo in un racconto intrigante, una metafora della vita.

Ma per quale motivo si arriva a definirla Villa dell’Ambasciatore? Per poco, giusto per tre bandierine in bella mostra sul tavolo della sala da pranzo, come quelle che si vedono sulle auto diplomatiche, e qualche libro in inglese, testi americani che lasciano trasparire una chiara origine d’oltreoceano. Nient’altro. Nulla di concreto che possa davvero giustificare quel nome, se non la bellezza e l’eleganza della villa. Ed è proprio questa miscela di fascino e di dettagli che le ha fatto guadagnare, nel tempo, quella definizione affascinante, ma totalmente infondata: qui non ha vissuto nessun ambasciatore.

Questa villa è un susseguirsi di stanze affascinanti, ognuna con un suo carattere particolare. Appena si entra, si viene accolti da una sala da pranzo elegante, in cui spiccano le bandierine che, come dicevo prima, danno quell’idea di corpo diplomatico: il tricolore francese, la Red Ensign, la bandiera della marina mercantile del Regno Unito, e un’altra che non sono riuscito a riconoscere. Da lì, si prosegue in un percorso che ci porta a scoprire diverse camere da letto, una cucina, bagni, tutti arredati con gusto e raffinatezza. I pavimenti, sempre intensi nei colori e nei motivi, e le tappezzerie eleganti, contribuiscono a dare un’atmosfera quasi surreale, un’aria di lusso che ora si scontra con il decadimento del tempo e le pareti scrostate; ovviamente non può mancare la madonna di Lourdes, ma quella è un grande classico che non manca mai.

In realtà, se dovessi scegliere, sono tre le zone della villa che più di tutte mi hanno lasciato senza fiato. La prima è una stanza che, con il suo pianoforte verticale, un quadro con la sacra famiglia, una poltrona distrutta e una valigia aperta con fiori secchi, emana un fascino vintage e quasi malinconico, tipico del mondo urbex. Salendo al piano superiore, si accede alla soffitta, dove una stanza con vetrate colorate mi ha quasi fatto gridare al miracolo. Un baule e una poltrona sono in posizione studiata, come se il tempo si fosse fermato, lasciando intatta questa immagine che sfida la logica: e non escludo che si tratti di arredamento, anzi, un passaggio degli arredatori è assai probabile. È difficile capire cosa ci faccia una stanza del genere a quell’altezza, ma la sua bellezza è indiscutibile, affascinante nella sua stranezza. Infine, in cantina, si trova un altro spazio che nasconde un’atmosfera magica. Una stanza vuota, ma con un soffitto dipinto che serve a incorniciare un mobile storto, un baule e un attaccapanni allineati lungo il muro scrostato. Il pavimento è ricoperto da tappeti persiani ormai rovinati, segno del tempo che passa e dell’umidità. Ma questa stanza, così spoglia e così decadente, rimane una delle zone più intense della villa. La sua semplicità, in contrapposizione con il senso di abbandono, è la sua forza.

Purtroppo il tempo è passato, e sono ormai tanti anni che questa villa è in stato di abbandono: la storia dell’ammmericano e della sua sposa è un lontano ricordo. L’agenzia immobiliare che si occupava della vendita ha provato a trovare un compratore, ma alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza. Oggi, la villa dell’Ambasciatore inizia a mostrare notevoli segni di decadimento: il tetto sta crollando sotto i colpi delle intemperie e se la situazione dovesse continuare così è difficile dire quanto ancora resisterà. La villa, purtroppo, non ha un futuro roseo, e il suo fascino rischia di svanire nel nulla se non verrà preservato. Ah, dimenticavo: non solo Lourdes, anche Olio Carli e Bitter Campari non mancano quasi mai.

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Bambole di Pezza @ CAP10100
POSTED ON 9 Mar 2025 IN Concert     TAGS: rock, wideaperture

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Maliziose, intriganti, originali, dolci, rumorose, grintose, incazzate e fuori di testa, si descrivono così sul loro sito. Le Bambole di Pezza sono una band rock italiana interamente al femminile, originaria di Milano: suonano un rock potente e sempre coerente. Il loro pezzo che preferisco è sicuramente Le streghe, una canzone che mi è subito entrata in testa perché molto orecchiabile e con un testo intrigante e divertente. È da sempre nella mia playlist delle preferite. Dopo una pausa di riflessione e di lontananza dalla scene, nel 2022, le due chitarriste, Morgana Blue e Dani Piccirillo, ripresero il progetto sotto il vecchio nome, con tre nuove compagne d’avventura: la cantante, Martina Ungarelli, e rispettivamente al basso e alla batteria, Caterina Dolci e Federica Rossi.

Negli ultimi tempi la band ha dato alle stampe il nuovo album Wanted e la canzone Cresciuti male, con l’importante featuring di J-AX, è diventata molto popolare, trovando spazio anche nelle rotazioni delle radio più importanti. Quando ho scoperto che il 7 marzo avrebbero suonato al CAP10100 di Torino, non mi sono fatto scappare l’occasione: ho preso il biglietto (a dicembre). Il club torinese è il posto perfetto per un concerto rock, spazioso, con un bel palco e una buona acustica. La cosa che mi piace di più è che permette di fotografare con tranquillità sia dal palco che dal fondo della sala, senza troppe limitazioni e con un pubblico educato che ascolta, si scatena, balla, ma non spinge.

Ho scelto 34 foto, cercando anche di includere, in alcune immagini, il pubblico, per dare un senso più intrigante e coinvolgente agli scatti. Non esiste una zona riservata ai fotografi al CAP10100, quindi mi sono avvicinato il più possibile, cercando di catturare l’entusiasmo e l’erotismo che le Bambole di Pezza sprigionano sul palco, anche con un tocco di voyeurismo (perdonatemi il termine) nelle immagini. Ecco le Bambole di Pezza, in tutto il loro splendore.

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Red Passion – Il Baldacchino Rosso
POSTED ON 9 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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È passato un po’ di tempo dall’esplorazione che voglio raccontare oggi, ma è ancora ben impressa nella mia mente: forse perché ero da solo, una situazione che aumenta il grado di percezione dei miei sensi, ma che per fortuna mi capita di rado. Parcheggiai non troppo distante dal mio obbiettivo e mi guardai intorno: il sole stava sorgendo e presto sarebbe stato giorno. La location che volevo esplorare era davvero particolare: una una casa circondata da un piccolo boschetto e immersa nel nulla, in una posizione che oserei definire bizzarra. Per raggiungere il boschetto bisognava camminare in mezzo ai campi, in piena vista. Non ci pensai troppo, iniziai a percorrere la strada nella terra e, senza che nessuno si accorgesse di me, mi infilai nel bosco. Era mattino presto, troppo presto, quindi era difficile che qualcuno potesse essere sveglio a quell’ora e notare un tipo sospetto, con lo zaino e un treppiede ingombrante, camminare veloce nel nulla.

La porta era aperta. Il primo piano era completamente in disordine: foglie sul pavimento, libri sparsi, riviste, colori, tempere, cornici, una piccola follia creativa, segni e ricordi dell’artista che aveva vissuto lì. Salendo una scala molto stretta, arrivai al secondo piano. La cucina non nascondeva il suo senso di abbandono, disordinata e sporca, con l’intonaco che cadeva sul pavimento, ma piena di vita: c’erano oggetti da cucina in ordine quasi perfetto, una bellissima credenza, spezie, pentole appese, bicchieri e bottiglie di liquore sul tavolo, un’immagine di quotidianità interrotta.

Uscendo dalla cucina si scopre la stanza più interessante, la stanza che regala il nome alla location e che lascia quasi interdetti: Red Passion. E’ una camera da letto molto affascinante, con un letto a baldacchino semplicemente meraviglioso. Il colore dominante è un rosso vibrante, un rosso teatrale, quasi passionale. C’è un mobile sul fondo pieno di vestiti, una serie di oggetti sparsi, un crocifisso appeso alla parete e altri piccoli dettagli che rendono l’ambiente molto intrigante. E poi quel mappamondo, come un simbolo di quanto il pittore fosse legato a quella sua dimensione, come se quella stanza non fosse solo il suo rifugio, ma il suo mondo intero. Poco distante, sempre al secondo piano, c’è anche un bagno, decisamente devastato, con pochi oggetti rimasti, tra cui due spazzolini da denti, uno rosso e uno verde, malinconici nella loro solitudine.

Aveva consacrato l’intera vita all’arte, dipingeva e passeggiava nei dintorni di questo luogo sperso tra i campi della pianura padana. Nei suoi itinerari a piedi raccoglieva sassi, pezzi di tronco e assi e le usava per le sue opere, leggeva e dipingeva, solo il sole scandiva le sue giornate. Gli amici passavano a trovarlo, chissà se si sedevano tutti insieme nel giardino all’ombra degli alberi, tra i tulipani gialli meravigliosi che continuano a fiorire ancora oggi e che ci hanno accolti quando siamo arrivati fin qui. Le opere dell’artiste erano conosciute, erano esposte in molte gallerie d’arte, hanno vinto dei premi ma lui è sempre rimasto affezionato a questo piccolo paradiso e intanto inesorabile come per tutti è arrivata la vecchiaia e la morte. Sono quasi quindici anni che qui non abita più nessuno, nessuno dorme in questo imponente letto rosso, nessuno lascia più la sua traccia con i pennelli su quelle vecchie assi. I colori nei tubetti si sono pietrificati, i pennelli sono pieni di ragnatele. Tutto tace ora qui intorno e noi possiamo solo immaginare la tranquillità che deve aver assaporato chi ha abitato qui per anni, chissà se i suoi quadri raccontavano tutto questo suo piccolo mondo incantato…

Questa casa apparteneva a un pittore che ormai non c’è più, un pittore molto conosciuto che ha lasciato tracce della sua esistenza in ogni angolo. Si dice che non avesse mai lasciato questo posto, che la sua vita fosse stata scandita dalle camminate nei campi circostanti, nei suoi momenti di solitudine, nei suoi momenti di raccoglimento. Oggi, nonostante la casa sia in rovina, c’è ancora qualcosa di potente che rimane. La sua memoria non è andata persa, si è solo silenziata, in attesa di essere ricordata.

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La vezzosa Mugnaia e altre storie
POSTED ON 6 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: EVENT, carnival, tradition

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Il Carnevale di Ivrea è conosciuto soprattutto per la Battaglia delle Arance, che sicuramente è l’evento più famoso e quello che si vede raccontare in televisione. Ma in realtà il Carnevale di Ivrea è molto più di questo e affonda le sue radici addirittura nell’anno 1194. Purtroppo, per motivi di tempo, non sono riuscito a catturare tutto e mi sono concentrato sulla Battaglia delle Arance, ma ci sono tante altre tradizioni e manifestazioni che meritano di essere raccontate. Ad esempio, una figura centrale del Carnevale è la Mugnaia, definita vezzosa, una donna che simboleggia la resistenza contro il tiranno. La Mugnaia nasce nel 1858 e si ispira a Violetta, un personaggio storico realmente esistito. Secondo la leggenda, Violetta -figlia di un mugnaio- uccise il tiranno tagliandogli la testa, dopo averlo fatto ubriacare, ribellandosi allo ius primae noctis (mito nato in Europa nel corso del secoli) imposto dal barone.

Poi c’è la Preda in Dora, che si svolge la domenica mattina, quando viene lanciata una pietra nel fiume Dora. Questo gesto segna simbolicamente l’inizio delle festività del Carnevale e si collega alla doppia distruzione del Castellazzo. Un’altra tradizione importante è la Fagiolata Benefica del Castellazzo, che ho avuto modo di vedere velocemente. Durante questa festa, che si svolge fra sabato sera e domenica mattina, i fagioli vengono cucinati e distribuiti, mentre un grande calice di vino gira tra le persone. È un momento di convivialità importante che fa parte delle celebrazioni almeno dal 1878. Infine, c’è lo Scarlo, che risale al 1300 ed è l’elemento più antico del Carnevale di Ivrea. Nel Medioevo la Festa dello Scarlo segnava la fine dell’inverno e il risveglio della natura. È un alto palo rivestito di erica secca (bru) con in cima un tricolore che viene innalzato in ogni parrocchia e bruciato. Il Martedì sera nel magico momento dell’abbruciamento dello Scarlo rivive la rivolta popolare, l’esecuzione del tiranno e l’incendio del Castellazzo, la libertà conquistata ed infine la morte del vecchio e la nascita del nuovo.

Purtroppo, come dicevo, non è facile riuscire a seguire tutte le manifestazioni che caratterizzano il Carnevale di Ivrea, soprattutto se non si è eporediesi. Sono arrivato domenica mattina e ho fatto un giro veloce in città per vedere l’allestimento: era talmente presto che ho rischiato mi chiedessero aiuto per scaricare le cassette, rigorosamente in legno, di arance. Non sono riuscito a visitare il Borghetto, un quartiere che mi affascina molto e dove comandano gli aranceri dei Tuchini, e mi sono perso anche la Preda in Dora, perché sono dovuto correre via per assistere alla preparazione del carro. Nonostante la fretta, ho avuto la fortuna di assistere all’arrivo del Generale, colui che dà il via ufficiale ai festeggiamenti, della vezzosa Mugnaia, del Podestà e di tutta la corte che accompagna i due protagonisti della sfilata.

La tradizione le dette l’appellativo di vezzosa, per indicarne la leggiadria e la grazia femminile, quindi vestita di bianco per indicarne la fedeltà e la purezza, ed interpretata, ogni anno, da una diversa cittadina eporediese, che dev’essere sposata, per ricordare lo stato di Violetta, seppur suo malgrado. Come eroina della rivolta inoltre, viene adornata col tricolore italiano, in riferimento alle rivoluzioni risorgimentali.

In quest’ultimo post ho raccolto un mix di foto, messe in ordine quasi casuale, che cercano di descrivere, anzi, di dare un’idea di una parte del Carnevale di Ivrea. Mi sarebbe piaciuto avere più tempo per dedicarmi anche agli eventi, definiamoli collaterali, non solo alla battaglia delle arance. Purtroppo, è difficile, ma non impossibile. Mi piacerebbe tornare, magari con più calma, per scoprire tutte le sfaccettature di questa straordinaria festa.

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I paladini di Via Palma
POSTED ON 5 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: EVENT, carnival, tradition

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Oggi voglio raccontarvi il vero carnevale storico di Ivrea, la sua essenza, portandovi al suo interno nel senso più vero del termine. La storia inizia nel 2012, la mia prima volta al Carnevale di Ivrea. Quel giorno scattai delle foto, come sempre, e fui contattato da uno dei membri di un carro, Nikhy, che mi invitò a tornare l’anno successivo per fotografare la sua squadra in azione. Nel 2013 purtroppo dovetti rimandare il mio ritorno, e poi rimandare ancora, e poi ancora. Quest’anno, dopo 13 anni, ho deciso di scrivere a Nikhy per chiedergli se l’invito fosse ancora valido. Mi ha risposto di sì, ha chiesto alla sua squadra (I Paladini di Via Palma) e abbiamo cominciato ad organizzarci.

Il 2 marzo, domenica, primo giorno di battaglia, mi sono presentato nella loro cascina, dove si incontrano prima di partire. È stata un’esperienza molto particolare e straniante. In cascina ho visto i cavalli (Hector e Ideal), il carro, e man mano ho visto arrivare i membri della squadra. Abbiamo mangiato insieme (alle undici) e ho cominciato a percepire una sensazione di ansia e di emozione, una tensione quasi palpabile. All’ora stabilita, i conducenti della pariglia, il baffuto Adriano, Valentina, Valeria e Francesco, hanno portato fuori i cavalli e hanno cominciato a prepararli. I ragazzi della squadra sono andati al punto di ritrovo, quando è arrivato il carro con i conducenti hanno caricato le arance (qui inizia il mio racconto fotografico) e, finalmente, siamo partiti verso Via Palestro, dove tutto prende forma.

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Quando le pariglie si sono messe in fila ho cominciato a capire davvero cos’è il Carnevale di Ivrea. Le battute sono diminuite, i sorrisi sono diventati meno frequenti e la tensione è aumentata. Sono salito con loro sul carro e ho fatto una domanda precisa: “Siete emozionati?”. Mi hanno risposto di sì, che erano concentrati e che sentivano l’importanza dell’evento. In realtà non avevo bisogno di sentire la risposta, perché l’avevo già capito senza chiedere. Poco dopo Fernando, il capocarro, mi ha chiesto se volessi partecipare alla battaglia, rimanere sul carro con loro. All’inizio ho detto subito di no, istintivo, ma poi, pentito della mia risposta, ho cambiato idea. Avrei rischiato qualcosa rimanendo a bordo, ma ho pensato che si trattava un’emozione che si vive una volta sola nella vita e sarebbe stato un punto di ripresa fotografico non banale. Non capita tutti i giorni di salire su un carro al Carnevale di Ivrea, e quindi ho deciso di restare. Una pazzia, non troppo calcolata in realtà: avrei dovuto capirlo dalla reazione dei miei compagni di viaggio, ma ormai il dado era tratto.

Mi sono accorto subito che scattare foto in mezzo alla battaglia sarebbe stato praticamente impossibile, ma ho vissuto l’esperienza di essere lì. Ho sentito la battaglia, la lotta, l’adrenalina. Ho provato a sollevare la macchina fotografica, ma sono stato subito colpito da un’arancia. Ci sono due foto di quel momento, sono solo didascaliche e servono esclusivamente a dimostrare la mia presenza. A quel punto ho dovuto proteggere il mio zaino, perché le arance viaggiano veloci, si schiacciano al contatto con chi si trova sul carro e arrivano addosso come una spremuta. Ma nonostante tutto è stato un momento emozionante, pensavo che mi sarei pentito, e invece no. La battaglia è durata un tempo che mi è sembrato infinito (ma non ho visto molto). Poi, quando il carro è uscito dalla piazza, ci siamo fermati, perché il regolamento prevede che la battaglia si interrompa in quel momento. In realtà, non si smette del tutto, perché qualche pazzo scatenato continua a lanciare arance, ma dopo questo momento di follia, si torna amici. Chi ha lanciato le arance viene a salutare chi era sul carro, si stringono le mani e si riparte per la prossima piazza.

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Il tempo delle arance
POSTED ON 4 Mar 2025 IN Portrait     TAGS: EVENT, carnival, tradition, love

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La battaglia intorno a te è cruenta, volano arance ovunque, non c’è un attimo di respiro, un tiranno dietro l’altro e sei nel cuore della lotta, in piazza Ottonetti. Ma Voi trovate comunque il tempo per un attimo di dolcezza e un bacio. Vi ho promesso che avrei pubblicato le Vostre foto, e mi piace mantenere le promesse: siete meravigliosi.