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La bianchina Autobianchi
POSTED ON 28 Gen 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX

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La Bianchina Autobianchi deve la sua enorme ed incredible fama al ragionier Fantozzi che utilizza una mal ridotta 4 posti bianca in tutti i suoi film. Iconica la scena in cui 3 energumeni non troppo gentili tolgono la portiera di forza mentre il ragioniere più sfortunato del mondo cerca di tirare sul il finestrino con la manovella: non riesco a smettere di ridere solo al pensiero. Nella stessa scena la signorina Silvani, dopo che Fantozzi alla guida ha recitato, spacciandole per un suo componimento giovanile, le parole di Lorenzo il Magnifico esclama: “Ah, anche poeta!” e poi sputa sullo specchio che sta usando per truccarsi. Nel 1975 (anno in cui uscì il primo Fantozzi) l’Autobianchi aveva smesso di produrre la Bianchina da 6 anni.

La Bianchina fu concepita come una versione più lussuosa della Fiat Nuova 500, mantenendo però lo stesso telaio e la stessa meccanica della vettura popolare. Il modello fu presentato al pubblico il 16 settembre 1957 al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, un contesto che sottolineava l’intento di posizionarla come un’auto elegante e raffinata, lontana dalle sue origini di utilitaria. All’inizio, la Bianchina fu proposta nell’unica versione a tre volumi, denominata Trasformabile, che si distingueva per il tetto apribile in tela, le abbondanti cromature e le pinne posteriori, un tratto stilistico che la rendeva più simile a vetture di categoria superiore. Questo design contribuì a darle un aspetto lussuoso che attirò subito l’attenzione del pubblico, soprattutto dei milanesi, affascinati dall’idea di possedere una macchina più elegante rispetto alla più spartana Nuova 500. Nonostante il prezzo di listino fosse significativamente più alto le vendite iniziali della Bianchina superarono quelle della sua sorella economica. La ragione di questo successo iniziale si può attribuire al fascino del marchio Bianchi, che evocava qualità e raffinatezza, oltre alla possibilità di pagamenti rateali in 30 mesi offerta dalla SAVA, che rese l’acquisto più accessibile. Vista la buona accoglienza, l’Autobianchi decise di ampliare la gamma della Bianchina. Nel 1959, il motore fu potenziato a 17 CV, mentre nel 1960 vennero introdotte le versioni cabriolet e Panoramica. Nel 1962, la Bianchina Trasformabile venne sostituita da una nuova versione denominata ufficialmente 4 posti, un modello che si distingueva per il tetto chiuso e la capacità di ospitare quattro persone. Sebbene il pubblico la definisse spesso berlina, questa denominazione non fu mai adottata ufficialmente dalla Autobianchi, che continuò a chiamarla semplicemente 4 posti. Il design della Bianchina 4 posti era molto apprezzato per la sua eleganza e per la praticità di una berlina compatta, ideale per chi cercava una vettura che unisse il comfort e la versatilità a una guida più dinamica. Sebbene il prezzo fosse superiore a quello delle versioni più semplici, la 4 posti rappresentò un’opzione popolare per chi desiderava una piccola auto familiare, senza rinunciare al fascino della Bianchina e alla sua tradizione di auto dallo stile ricercato.

Il modello in queste immagini, di un bellissimo colore azzurro con tanto di portapacchi in tinta, dovrebbe essere una Bianchina Furgoncino, creata nel 1960 sulla base della Panoramica e rimasta in produzione sino al 1969. Purtroppo il crollo del tetto l’ha praticamente distrutta e non credo possa essere ancora recuperata (anche per via dei costi eccessivi). Un vero peccato, perché parliamo di un piccolo, ma importante pezzo della storia dell’automobile del nostro paese.

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La Villa della Grande Muraglia
POSTED ON 27 Gen 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Nascosta tra le colline del Piemonte, giace una struttura imponente e misteriosa conosciuta nel mondo urbex come La Villa della Grande Muraglia. Questa dimora, una volta maestosa, è ora avvolta dal silenzio e dall’incuria del tempo, ma i suoi interni raccontano una storia affascinante di cultura e bellezza. Appena si varca la soglia d’ingresso della villa, si è accolti da una collezione di oggetti che sembrano trasportare direttamente in Cina. Vasi di porcellana, tra cui alcuni con elaborate scene di combattimento, sono sparsi sui mobili, mentre il celebre maneki-neko, il gatto con la zampa alzata che porta fortuna, sembra ancora invitare la prosperità nonostante la decadenza circostante. Statuine di legno, l’immancabile acqua di Lourdes, piatti di ceramica, una strana maschera indonesiana, insieme a quadri che raffigurano scene di vita cinese, adornano i mobili e le pareti, creando un ambiente che mescola il fascino orientale con l’abbandono occidentale.

Al centro della villa, una sala cattura l’attenzione per la sua bellezza decadente. Qui, un soffitto affrescato con angeli sospesi in cielo e motivi floreali, ormai sbiaditi dal tempo, racconta storie di un’epoca tardo medioevale. Ogni pennellata sembra ancora viva, i colori sono intensi, nonostante il trascorrere del tempo, le crepe e il degrado. Poco oltre si trova lo studio, rimasto come se il proprietario fosse appena uscito. Libri di viaggi e romanzi con le pagine ingiallite, si accumulano sugli scaffali di legno. In mezzo alla stanza, un bellissimo aspirapolvere Lincoln d’epoca, un reperto tecnologico che ricorda la metà del secolo scorso. Le camere da letto, sparpagliate per la villa, mantengono un’aria di eleganza perduta e vintage, con letti imponenti e mobili intarsiati, quadri, foto, e tutti i ricordi testimoni silenziosi di un passato glorioso e destinato all’oblio.

Per raccontare questa villa sono dovuto tornare due volte perché la prima non è stata sufficiente: la quantità di oggetti da descrivere è impressionante, ogni porta che si apre nasconde una nuova scoperta, una meraviglia, un’emozione. Ho immaginato il salotto con il camino accesso e la musica uscire dai tasti del pianoforte, ho percepito fra le pareti della sala da pranzo il profumo del minestrone provenire dalla cucina. La Villa della Grande Muraglia non è solo una casa abbandonata; è una capsula temporale che custodisce la fusione di due culture, un luogo dove il tempo si è fermato, lasciando dietro di sé un enigma avvolto nella bellezza e nella polvere.

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Strani incontri
POSTED ON 26 Gen 2025 IN Animals     TAGS: nature

Strani incontri

Per gli appassionati di urbex una delle attività più importanti è sicuramente la verifica. In parole povere, cartina alla mano, si esplorano posti che dall’esterno sembrano abbandonati alla ricerca di qualcosa di interessante. La stragrande maggioranza delle verifiche si concludono con un bel buco nell’acqua, può anche capitare di trovare qualche perla rara, ma solitamente non capita. Qualche giorno fa, con un gruppo di amici, abbiamo esplorato una cascina pericolante fra Codogno e Cremona. Da fuori nulla faceva presagire ad una qualche attività, la struttura era in pessime condizioni. Ad un certo punto ho intravisto una porta, ho spinto verso l’interno e, bellissima sorpresa, sono stato accolto da una decina di papere spaventate, che appena visto il muso del sottoscritto, hanno pensato bene di darsi alla fuga. Non era totalmente disabitata.

Il porto sull’Arno
POSTED ON 24 Gen 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Non è stato facile raggiungerlo: transenne, rovi, muri pericolanti; ma, varcata la soglia d’ingresso, nella prima stanza siamo stati accolti da una sinfonia di colori, uno spettacolo per gli occhi. Era una struttura fra le più importanti del suo genere: un antico porto sul fiume Arno con annesso casino di delizia. All’epoca il fiume Arno era completamente navigabile e quando fu costruito, all’inizio del 1700, costituiva il punto d’attracco per le imbarcazioni, probabilmente dirette verso Villa Bibbiani, del cui complesso la struttura portuale faceva parte.

In origine l’edificio era circoscritto alla singola partitura del grande arco sormontato da una loggia traforata che inquadrava l’accesso alla villa. Con stratificazioni successive, prevalentemente settecentesche, il complesso si arricchisce di ambienti, pertinenze e decorazioni tese a conferire all’insieme un carattere di vero e proprio luogo di delizia, costruito per il divertimento. Illustri le famiglie fiorentine che hanno posseduto l’intero complesso di Bibbiani attraverso i secoli: dai marchesi Frescobaldi, primi proprietari di Bibbiani fin dal Rinascimento, ai marchesi Ridolfi, tanto per citarne due. Celebre il parco, voluto personalmente da Cosimo Ridolfi (1794 -1865) nel momento in cui acquistò il complesso dai Frescobaldi.

Oggi, il porto mostra segni di un degrado estremo: il tetto è crollato, con coperture temporanee di lamiera e infestazioni di piccioni. L’architettura originale, con il suo corpo centrale rettangolare e aggiunte laterali, conserva ancora tracce di un passato glorioso, come le canalizzazioni, le banchine e le decorazioni in pietra, ma è in netto contrasto con l’abbandono attuale. Le tracce storiche sono ancora visibili vicino al Grande arco dell’Omo, dove una canalizzazione che conduceva al porto è stata interrotta dalla moderna carrabile. Gli affreschi e le decorazioni storiche del porto sono state riscoperte in passato, ma la conservazione di questi elementi è sempre più difficile, complicata da ostacoli burocratici che hanno ritardato qualsiasi tentativo di restauro (si tratta purtroppo di un bene privato). Questo scenario evidenzia l’urgente necessità di azioni concrete per la conservazione e il recupero di un bene culturale che, se perso, rappresenterebbe una perdita irreparabile per il patrimonio storico e artistico del nostro paese.

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21 modi per immaginare Pompei
POSTED ON 22 Gen 2025 IN Landmark     TAGS: travel, monument, history

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Queste immagini di Pompei hanno quasi 3 anni e forse è il momento di pubblicarle. In realtà anche no, ma lo farò ugualmente. Ne ho scelto 21, senza un filo logico, senza un’idea precisa: è stata una visita guidata, ma disordinata, alla ricerca delle storia e dei luoghi più iconici, conosciuti e interessanti. Ci sarebbero tantissime cose da scrivere per raccontare Pompei, ma credo che qualcosa di interessante in rete si possa trovare senza obbligatoriamente aggiungere anche le mie parole. Inoltre la memoria è labile, il tempo tiranno e mi ricordo pochissimo. Potrei parlare di fotografia, ma anche qui rischierei di cadere nel banale. Un suggerimento però mi sento di condividerlo: se decidete di visitare i resti di Pompei fatevi accompagnare da un guida, senza aiuto è difficile capire e comprendere la storia di questo luogo magico.

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L’ipogeo e la chiesa ottagonale
POSTED ON 20 Gen 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Ipogeo significa sotterraneo e questa cosa avrebbe dovuto farmi riflettere/capire. Arrivo davanti a questa piccola chiesetta, sembra interessante, ma noto con dispiacere che la porta è chiusa. L’unica via di accesso è una piccola finestra stretta e verticale (deve avere un nome) e non trovo altra soluzione. Lascio cadere zaino e treppiede all’interno (e non era basso) e provo ad entrare. Non riesco, è davvero strettissima, e inizia a prendermi una specie di panico perché senza entrare non sarei riuscito a recuperare lo zaino. Cerco una soluzione e dopo un paio di tentativi maldestri riesco a infilare una gamba e quindi la testa: sono dentro lanciandomi quasi a peso morto. A quel punto la domanda sorge spontanea: ma Lorena come ha fatto ad entrare? Ma è una domanda al quale troverò risposta dopo.

La piccola chiesa è davvero bella: è abbandonata da tempo, si capisce che qui nessuno mette piede da chissà quanti anni. La porta è saldata (ecco perché non si apriva). Faccio un giro rapido, scatto qualche foto e mi accorgo che in una piccola stanza laterale ci sono dei gradini. Non mi lascio intimidire dal buio, accendo la torcia e percorro la scala a chiocciola in discesa. Arrivo in un antro sotterraneo, ecco perché si chiama Ipogeo: ci sono due stanze, entrambe sormontate da una cupola: nella prima un fascio di luce illumina delle rovine, nella seconda, buttato per terra, si trova una copia del Trono Ludovisi. Dopo la seconda stanza un piccolo cunicolo porta all’esterno, nel parco. In quel preciso istante mi sono reso conto di essere passato dall’accesso più complicato e ho capito come avesse fatto Lorena ad entrare: dalla porta.

In urbex è sempre buona educazione cercare l’accesso più semplice, magari facendo una perlustrazione completa, se possibile, dell’esterno (ovviamente non sempre è possibile). Purtroppo capita, non di rado, di entrare dalla soluzione più complicata. Recentemente (ieri) sono entrato dalla finestra di un palazzo. (senza troppa fatica in realtà) per poi accorgermi che sul lato opposto le porte del piano terra erano tutte spalancate: sarebbe bastato avere meno fretta. Devo però ammettere che l’entrata nell’Ipogeo rimane la contrapposizione più alta che mi sia capitata: l’accesso normale era una porta completamente spalancata in un parco abbandonato, io ho scelto un passaggio quasi impossibile attraverso una finestra strettissima. Genio del male. :-)

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