Ho chiamato questa location La chiesa di Conchiglie perché, al suo interno, si nasconde una piccola chiesetta interamente ricoperta di conchiglie. Quando l’ho vista sono rimasto sorpreso. Non ha alcun senso, non esiste nulla di simile al mondo (che io sappia), eppure lì, nel cuore di quel luogo, c’era questa piccola perla (e forse qualche ostrica). Ogni angolo, ogni parete era decorata con conchiglie, un’opera davvero fuori dal comune. L’odore era molto intenso, decisamente poco piacevole: c’erano tanti insetti, mosche e vespe che volavano ovunque. Fotografare l’interno non è stato possibile, non ho avuto il coraggio di entrare, infatti, le immagini che ho scattato sono tutte dall’esterno, perché dentro l’aria era irrespirabile. Ma quel luogo, con il suo fascino strano, ha qualcosa che mi è rimasto impresso in un angolo dell’anima.
La cosa che più mi ha colpito, però, è stata senza dubbio la chiesa di Conchiglie, ed è per questo che ho voluto chiamare questo posto con il suo nome. È davvero unica nel suo genere, e sono abbastanza certo che non mi capiterà mai più di trovare un luogo di culto così singolare.
Devo ancora finire di pubblicare le foto del Vertigo Christmas Festival; ammetto che sono un po’ indietro. Il 3 gennaio sono tornato sotto il tendone per la terza volta, questa volta per fotografare il Vertigo Gala 24, l’ultimo spettacolo della kermesse che ha visto il pubblico rimanere incantato anche durante la notte di Capodanno. L’evento, che ha avuto luogo dal 24 dicembre al 6 gennaio, ha visto sul palco i migliori artisti della Fondazione Cirko Vertigo. In scena c’erano numeri davvero unici, tra cui tessuti, cerchio aereo, sospensione capillare, bandiere, giocoleria, roue Cyr, mano a mano, palo cinese, multicorda e anche teatro. Ogni performance era incredibile e inedita, offrendo un mix di emozioni e spettacolarità: mi sono divertito.
Le esibizioni sono state tutte magnifiche, ma alcune mi hanno davvero lasciato senza parole: le acrobazie aeree erano di livello altissimo, e l’ultima uscita, quella canora, mi ha completamente spiazzato, e dire che mi ha sbalordito è forse riduttivo. Spero che l’evento torni anche il prossimo anno, perché è stata veramente un’esperienza importante. La partecipazione del pubblico, purtroppo, non è mi è sembrata adeguata al livello delle esibizioni, e secondo me è un vero peccato, visto che tutti gli spettacoli sono stati bellissimi e meritavano una maggiore attenzione.
Il Castello di S. si trova su una collina che domina il paesaggio circostante. La giornata di fine novembre è limpida, ma il freddo è pungente. Arrivo all’ingresso principale, un grande portone di legno che scricchiola mentre lo spingo per entrare. Non percepisco segnali di vita, ma non mi aspettavo certo di trovare la folla: ad una prima occhiata l’edificio è davvero spettacolare. Il castello ha origini medievali, risalente probabilmente al XIII secolo, e fu ampliato nel corso dei secoli. Oggi, nonostante lo stato di abbandono, il suo aspetto esterno è ancora imponente, con mura di pietra e un corpo centrale a forma di ferro di cavallo. Varcato il portone, entro in un ampio atrio che funge da ingresso, con pavimenti di pietra viva e muri spogli. L’atmosfera è silenziosa, quasi surreale, ci sono evidenti lavori di ristrutturazione, mai portati a termine: ho come la sensazione di poter trovare un operaio intento a lavorare dietro ogni angolo.
Le stanze successive sono simili: solo un ambiente conserva il pavimento originale, non ci sono finestre e la luce diventa un elemento fastidioso. Continuo a esplorare fino a raggiungere una sorta di piano rialzato, dove trovo una cupola affrescata: qui purtroppo i colori sono danneggiati dal tempo e dall’umidità. Mi fermo un momento ad osservare dall’alto e comprendo meglio la situazione di restauro lasciato in sospeso. Non sento l’abbandono, non ho quelle vibrazioni, e decido di lasciare il castello. Il suo fascino è innegabile, ma la situazione qui non può essere definita un vero e proprio urbex; c’è un’idea di rilancio palpabile, ma anche di conservazione, come se l’edificio stesse aspettando il termine dei lavori di ristrutturazione per tornare alla vita.
Quando ho mostrato queste foto in anteprima, la reazione è sempre stata di sorpresa. In effetti, non sembra un vero e proprio urbex. È un luogo che appare sorprendentemente intonso, curato, come se il tempo vi fosse passato senza lasciare traccia. Non so se dipenda dalle scelte fotografiche o dall’impatto iniziale, ma quando sono entrato, la sensazione che ho avuto era proprio quella di trovarmi in una villa abbandonata: il cancello aperto, la porta spalancata, la polvere, gli oggetti senza tempo, e quelle stanze da letto dove l’intonaco si mescola alla moquette, l’idea era proprio quella che nessuno se ne prendesse cura da tempo. Non nascondo che, ancora oggi, ho dei dubbi sulla pubblicazione di queste immagini. Il mio approccio all’urbex è sempre stato quello di catturare un vero abbandono, uno stato di decadenza che si veda anche nelle fotografie. Ma qui, nonostante il silenzio e la malinconia che mi hanno accompagnato per tutto il tempo, non sono riuscito a cogliere quella sensazione di desolazione che cercavo. Forse perché non esiste.
Le stanze erano piene di oggetti lasciati in ordine: le poltrone eleganti, il tavolo con appoggiato il vaso, la vetrinetta con gli alcolici, l’occorrente per il cucito, tutto apparentemente in perfetto stato. Eppure, c’era qualcosa di surreale, di strano. Niente era realmente rotto, niente di visibilmente deteriorato, ma ogni cosa parlava di un tempo lasciato correre e lontano. Il vero abbandono della Villa degli Artisti (preferisco non spiegare la scelta del nome) è nella mancanza di vita: si percepisce che manca il rumore, che mancano le grida, i sorrisi, la confusione, l’allegria, il lento andare avanti degli anni felici, ma anche infelici. Quando ho lasciato la villa, la sensazione di straniamento non mi ha abbandonato, ho accusato la potenza di un mondo distopico. Mi è rimasto il dubbio: ho davvero raccontato un abbandono, oppure ho semplicemente fotografo un luogo in attesa di riemergere dall’oblio? Ma credo che lo scopriremo presto.